La legge, ormai è risaputo, non è matematica. Si gioca coi numeri, gli articoli, le pene, le sentenze, ma le equazioni non sono lineari e il risultato dei calcoli è spesso un numero con la virgola destinato a destare più di qualche malcontento.
Chiedetelo alla Francia, dove da giorni si discute sulla bontà di una sentenza emessa dalla Corte d’Assise dell’Haute Garonne, composta da 7 donne e un solo uomo, in merito all’omicidio di Laurent Baca, colpito a morte dalla moglie il 6 agosto 2014.
La ricostruzione della storia ha i tratti di un dramma dall’epilogo scritto: Edith Scaravetti racconta di essere stata vittima per un decennio dei soprusi del marito, costretta a subire le angherie elevate dall’alcool e dalla sua estrema irruenza che spesso lo portava a gesti violenti davanti alle 3 figlie.
Secondo la testimonianza quella notte lui rientra tardi, la scaraventa dal letto, la prende a calci trascinandola sulle scale, poi impugna una pistola, la porta alla tempia e la intima a sparargli. La coincitazione del momento non consente un ricordo nitido e la donna racconta alla Corte di essersi trovata col corpo del marito senza vita tra le bracccia. Che il grilletto si sia azionato autonomamente non appare possibile, ma lei non sa dare una spiegazione. Sa solo che prende il corpo, lo porta in giardino e quando arrivano le mosche e il fetore lo trascina in soffitta, dove viene nascosto per 3 mesi sotto una colata di cemento. Alla scoperta viene arrestata e messa sotto processo.
Per anni i testimoni sfilano in contemporanea con l’alternarsi delle arringhe d’accusa e difesa, sino al giorno della pronuncia: la Corte composta da due magistrate e un presidente, in aggiunta alla giuria laica e popolare di 5 donne e un solo uomo, condanna Edith a 3 anni di carcere per omicidio colposo, periodo peraltro già scontato nel lasso di tempo che è intercorso tra la scoperta dell’accaduto e la sentenza.
La donna è dunque libera, considerando la pronuncia che ha riconosciuto i soprusi cui è stata sottoposta la donna per anni, attribuendo d’altra parte il beneficio del dubbio nella circostanza dell’omicidio.
Dieci anni di violenze valgono la vita di un uomo?
La domanda che divide la Francia è quanto valga la vita di un uomo in rapporto a un decennio di violenza privata.
La testimonianza resa da Edith nel processo, disegna i tratti di una vita di perenne timore e violenza, che tuttavia non giustifica ‘il gesto orribile’- come dichiarato dalla stessa- che ha portato all’uccisione dell’uomo.
La ricostruzione porta a conoscenza la vita degradata condotta da Laurent, una vita di contrabbando, piccoli spacci, grandi bevute e molta irruenza sfogata spesso sul corpo della donna.
La Corte, emettendo la sentenza, ha spostato l’ago della bilancia protendendo verso la donna, costretta per anni a subire le angherie del marito e caparbia nel mantenere da sola la famiglia con il solo stipendio da badante. Il dibattito resterà aperto, ma, dal punto di vista giuridico, il caso è chiuso e il verdetto è chiaro e irrevocabile.