Una bella lavata di capo spetta agli osservatori pessimisti del Medio Oriente: il primo ministro Sergh Sargsyan si è spontaneamente dimesso in seguito alle proteste che lo hanno coinvolto in tutto il paese. Il motivo? Aver ottenuto un secondo mandato, grazie all’approvazione di un referendum, proposto da lui stesso. Scelta politica, questa, che gli ha conferito un’aura di autoritarismo tale da vederlo criticato da tutti gli abitanti armeni.

Una rivoluzione di velluto

L’Armenia ha dato prova di spirito democratico forte e veloce, in seguito alle concessioni che il premier attribuiva da tempo a sé stesso.

A Yerevan, la capitale del paese, sono stati migliaia i cittadini a riunirsi in protesta contro l’eventualità di un secondo mandato. Le manifestazioni, organizzate perlopiù dal principale partito d’opposizione e sostenute dai più influenti membri del Congresso Nazionale dell’Armenia, sono state un vero e proprio fulmine a ciel sereno per Sargsyan.

Fulmine che, va ricordato, è stato successivamente colto con saggezza. E se è vero che ai giorni nostri sia ancora la prassi vedere la conquista – o riconquista – di un sistema democratico tramite lo spargimento di sangue, esistono sempre eccezioni che, si spera, confermino la regola.

Non è un caso che i media abbiano nominato la situazione armena “rivoluzione di velluto”.

Senza alcun tipo di scontro armato, il premier ha annunciato le proprie dimissioni lasciando spazio alle acclamazioni della folla: "Per risolvere la situazione sono necessarie soluzioni. Soluzioni alle quali io non prenderò parte. Lasciando il mio incarico soddisferò le richieste del popolo, organizzatore di proteste contro il mio operato”.

Cosa accadrà ora?

Così come ogni rivoluzione - pacifica o meno -, la transizione di governo che segue lo stallo iniziale sarà una fase delicata per il popolo e per la stessa nazione. Non serve certo citare esempi di stati abbandonati a sé stessi in seguito al rovesciamento di un regime. Va inoltre tenuto da conto che l’Armenia, schiacciata tra Turchia, Iran e Russia, assume attualmente la forma di uno stato-cuscinetto, che potrebbe rischiare di essere oggetto di mire espansionistiche.

L’interrogativo principale risiede proprio con i rapporti con la Russia, alleata dello stato sin dal crollo del muro di Berlino. Del 2013 è, per esempio, la notizia secondo cui l’ormai ex premier armeno avesse rifiutato di firmare accordi economici con l’Unione Europea, col fine di rimanere sotto l’ala di Putin. I pareri, in una situazione simile, restano in ogni caso poco precisi. Mentre la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova esordisce con: ”Armenia, la Russia è sempre con te!”, Leonid Kalashnikov del comitato della Duma sostiene di essere “ottimista e fiducioso circa le dimissioni di Sargsyan”.

In ogni caso, la cerchia politica russa si dichiara unanime nel sostenere che non ci saranno interventi interni all’Armenia: la scelta di un nuovo premier dovrà dipendere solo ed unicamente dal popolo. Una scelta saggia, che si spera venire messa realmente in atto da parte di tutte le grandi potenze.