È indubbio: con i 92 anni di Elisabetta festeggiati giusto qualche giorno fa e la fresca notizia della nascita del terzogenito di William e Kate, la cronaca rosa inglese ha fatto (e potrà fare ancora per mesi) incetta di lettori e di pubblico grazie al costante e premuroso affetto che i sudditi sono soliti nutrire per la famiglia reale. Un affetto sincero, leale, quasi innaturale se si pensa al fatto che stiamo parlando di persone con titoli assolutamente privi di significato in qualsiasi altro stato occidentale, se non puramente simbolico. Persone che non hanno nulla a che fare col popolo, ma che ne rappresentano in realtà l'esatto opposto, con tutte le considerazioni che ne conseguono.

Eppure, come in episodi precedenti (e molto recenti), la massa di festanti vestiti di sfarzosi abiti colorati di bianco, rosso e blu si perde a vista d'occhio per tutto il Regno Unito, liberandosi in canti e manifestazioni d'affetto per il neonato di casa reale, quasi fossero un'unica grande famiglia.

E allora tornano di attualità la consueta domanda, gli interrogativi da bar, da tavola da pranzo o anche da studio sociologico. Le domanda che tutti, nel corso della nostra vita, ci siamo almeno una volta posti o abbiamo sentito pronunciare da qualcuno al nostro tavolo: "Perché gli inglesi ci tengono tanto?"

Perché, tradotto in termini puramente accademici, una società avanzata e moderna come quella del Regno Unito convive con questo senso di attaccamento a valori irrazionali e illogici come la tradizione?

Per molti, attaccandosi ognuno alle proprie ragioni, potrà sembrare l'ennesima stravaganza britannica che tanto affascina i continentali, ma resta un quesito con notevoli spunti di riflessioni e, perché no, parecchia poesia.

La cosiddetta coscienza collettiva, quell'insieme di idee condivise da una società e "collettiva" nel senso di appartenenza ad una comunità nel suo insieme più che ai singoli individui, concetto tanto caro a Emile Durkheim nella sua spiegazione circa la solidarietà nelle società umane di ogni epoca.

Ed ecco quindi che proprio da questi assunti nasce il quesito fondamentale: se, nella maniera più user friendly e spicciola possibile, Durkheim attribuiva particolare rilievo all'influenza della coscienza collettiva sulle persone appartenenti a società primitive e poco sviluppate, perché un interesse tanto appassionato è rivolto dagli inglesi alla tradizione (compresa appieno, in questo caso, nel concetto di Durkheim)?

Se le società moderne, sempre secondo il sociologo francese, sono destinate ad evolversi e lasciarsi alle spalle una coscienza collettiva ritenuta opprimente ed obsoleta, perché nel Regno Unito questa è ancora salda e difesa a spada tratta?

La nascita di un eroe

Prima di rispondere, bisogna fare una precisazione. Una postilla del tutto socio-politica, che meglio ci aiuta a comprendere quanto vedremo. Max Weber, nel suo studio sulle strutture di autorità, esplica meglio di chiunque altro i meccanismi dietro il dominio che la royal family esercita (oggi solo simbolicamente) su tutto il Regno Unito.

L'autorità tradizionale è quella struttura di dominio in cui i seguaci sono convinti che intorno al titolo nobiliare proprio dell'appartenenza famigliare ad una casata vi sia un'aura di sacralità, derivante dal crisma del tempo, e che quindi il potere di questi individui sia del tutto legittimo.

Questo non è ovviamente il caso dell'Inghilterra dove, come già ricordato, i reali non occupano che una posizione di rilevanza, anche se pare che i sudditi riservino loro tuttora una parte importante nel proprio cuore, fino all'amore più sconsiderato.

Dunque, la spiegazione a questo fenomeno tanto bizzarro quanto affascinante è da ricercarsi, prima ancora che nella matrice sociale, nella psicologia dello sviluppo infantile. È noto infatti come l'attaccamento madre-bambino nei primissimi anni di età sia parte fondamentale e necessaria allo sviluppo del neonato, che ne verrà influenzato per tutto il resto della sua vita. Un contatto costante e continuo, unito ad una fiducia crescente nella figura materna, consente al bambino di sviluppare capacità fondamentali come la comunicazione, la fiducia in se stessi e, cosa spesso scontata, la capacità di esplorazione autonoma che moltiplica considerevolmente le opportunità di apprendimento.

Che cosa c'entra, però, questa piccola virgola propria delle scienze della formazione alla nostra domanda? C'entra eccome, più del dovuto.

In un mondo in cui i valori evolvono velocemente, soprattutto nel nostro millennio, un mondo in cui la tradizione lascia sempre più spazio all'innovazione, un mondo tecnologico che spaventa e insieme stupisce decadi di scrittori di fantascienza distopica, le società, come le nazioni, hanno bisogno ed il diritto di sentirsi parte di un'unica, grande famiglia che non accolga i suoi figli sotto il mero emblema religioso (come è avvenuto in Europa per millenni) ma che, al contrario, renda tutti partecipi e orgogliosi di rappresentare un unico simbolo: la bandiera.

Lo Stato, che per un inglese è irrimediabilmente rappresentato dalla famiglia reale, dalla regina più longeva di sempre, da cui sarebbe difficile e quasi straziante allontanarsi così, all'improvviso, come si stesse strappando un figlio alle braccia premurose della madre. E allora il simbolo persiste, viene spogliato dei suoi poteri ma non della sua influenza nel cuore e nella mente delle persone che continuano a trovare nella sua figura conforto, ristoro, tranquillità.

Governare è faticoso ma, invero, non tanto quanto è pesante indossare una corona. Ogni società esiste e persiste nella ricerca di un leader, ne sente il bisogno come latte materno. E così, nella mente di tutti, dove la corona è salda al suo posto e il trono occupato, ognuno può sentirsi tranquillo e dare il meglio di sé nelle azioni di tutti i giorni, come nel lavoro e nelle sue passioni.

Ecco, dunque, quanto è importante la nascita di un reale per un cittadino britannico. È l'ennesima prova di quanto questo sentimento di appartenenza si rifletta nell'amore comune che il popolo prova per il simbolo, un simbolo di come la tradizione sia viva, di come respiri, di come muoia e di come si riproduca, proprio come le persone scese in strada a festeggiare.

La poesia della tradizione, che nell'epoca del tutto razionalizzato pare esagerata, claustrofobica. Ma che, nel complesso, è dimostrazione di appartenenza e amore verso uno Stato di cui i cittadini si fanno voce, un amore puro e sincero verso la propria cultura che non ha bisogno di inganni politici e triste cronaca nera per essere esaltato.