Le indagini andavano avanti da mesi nella massima discrezione. Infatti solamente lo scorso 15 settembre si era saputo che il Promotore di Giustizia del vaticano aveva aperto un’inchiesta su monsignor Carlo Alberto Capella, importante figura nella diplomazia della Santa Sede, in passato funzionario presso la Nunziatura di Washington. E proprio dagli Stati Uniti e dal Canada era arrivata la gravissima accusa di detenzione e diffusione di materiale pedopornografico, reato che era stato già notificato lo scorso 21 giugno dal Dipartimento di Stato americano.

Da quel momento sono partite le indagini a Roma, svolte in un clima di collaborazione tra i diversi Paesi, che hanno portato nelle ultime ore all’arresto del prelato da parte della Gendarmeria Vaticana.

L’arresto in attesa del processo

Il provvedimento è stato ordinato dal giudice istruttore sulla base degli articoli previsti dalla nuova legge contro la pedofilia – fortemente voluta da papa Francesco subito dopo la sua elezione ed emanata nel 2013 – che prevede pene più severe per questo tipo di reati. Monsignor Capella – di origini emiliane, ma ordinato sacerdote nell’arcidiocesi di Milano – era già stato da tempo richiamato in Vaticano e viveva in stato di restrizione presso il Collegio dei Penitenzieri in attesa dell’esito delle indagini.

Ora il 50enne prelato è detenuto presso una cella della caserma del corpo della Gendarmeria e potrebbe essere ulteriormente interrogato dall’autorità giudiziaria nelle prossime ore. Per lui sarà inevitabile il processo per i gravi reati di cui è accusato da parte del Tribunale Penale della Santa Sede.

I particolari sconcertanti dell’inchiesta in Canada

Come detto, due erano state le inchieste che avevano coinvolto il prelato negli scorsi mesi: oltre all’ordine di arresto dagli Stati Uniti, dopo poche settimane era arrivata in Vaticano una seconda richiesta, proveniente dal Canada. Il cardinale Daniel Di Nardo, presidente della Conferenza episcopale americana, aveva subito espresso viva preoccupazione per questa vicenda, che toccava uno dei personaggi più in vista della diplomazia della Santa Sede nel nuovo continente.

In particolare, l’inchiesta in Canada era nata su segnalazione del Centro nazionale di coordinamento contro lo sfruttamento dei minori della polizia, in seguito alle analisi del traffico web. Addirittura il prelato sarebbe arrivato a scaricare e poi diffondere materiale pedopornografico durante una sua visita alla diocesi di London in Ontario, effettuata nei giorni di Natale. Infatti, secondo le rilevazioni, il traffico di immagini proibite sarebbe partito proprio in quel periodo di festa da un computer posto all’interno di una chiesa locale.