Marino Occhipinti è, da lunedì 2 luglio, un uomo libero. L’ex poliziotto era stato condannato all’ergastolo per aver ucciso nel 1988 Carlo Beccari, guardia giurata di 26 anni, nel corso dell’assalto alla cassa continua della Coop di Casalecchio. Considerato come uno dei gregari della banda della Uno Bianca, è stato arrestato nel 1994. L’uomo godeva già dal 2012 di un regime di semilibertà: dal momento della notifica di quest’ultimo provvedimento, ha potuto lasciare definitivamente il carcere di Padova in cui era recluso. Alla base della decisione, destinata a suscitare grandi polemiche, la valutazione del Tribunale di sorveglianza di Venezia, secondo il quale l’ex bandito sarebbe sinceramente pentito, tanto da aver rinnegato gli atti compiuti nel proprio passato e da non dover essere più ritenuto socialmente pericoloso.

L’avvicinamento a Comunione e Liberazione

Come detto, Marino Occhipinti aveva già ottenuto nel 2012 la possibilità di lavorare al mattino per poi rientrare di sera nella casa circondariale. Già l’estate scorsa in molti avevano polemizzato per il permesso premio, accordatogli dal Tribunale di Sorveglianza di Padova, che gli aveva consentito di partecipare, per una settimana, ad un’iniziativa in Val d’Aosta, promossa da Comunione e Liberazione e dalla Cooperativa Giotto, per cui lavora da anni, da quando si è avvicinato alla religione. Eppure la scelta del presidente del tribunale, Giovanni Maria Pavarin, e del giudice a latere Linda Arata farà sicuramente rumore, anche perché inattesa. Infatti soltanto un anno fa, la prima sezione penale della Corte di Cassazione aveva rigettato per inammissibilità il ricorso dell’ex poliziotto sulla decisione del Gip di Bologna, che a dicembre 2015 aveva respinto la sua istanza per uno sconto di pena, in pratica per passare dall’ergastolo a trent’anni di reclusione.

I familiari delle vittime protestano per la scarcerazione

Subito è partita la protesta dei familiari delle vittime della banda della Uno Bianca, che terrorizzò l’Italia tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ‘90. Il gruppo di criminali, capeggiato dai tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi lasciò dietro di sé una lunga scia di sangue con l’uccisione di 24 persone e il ferimento grave di altre 103.

Altri due fiancheggiatori, Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli, condannati a pene minori per non aver preso parte agli omicidi, sono liberi da anni. Ora tocca ad Occhipinti, che ha potuto lasciare il carcere grazie al lavoro svolto dal suo avvocato, Milena Michele. Ma i parenti degli uomini uccisi dalla banda, tra i quali diversi appartenenti alle forze dell’ordine, non sono d’accordo e lamentano di non essere stati informati, né tanto meno ascoltati a riguardo.

La presidente dell’associazione che li riunisce, Rosanna Zecchi, ha condannato la scelta dei magistrati di non considerare le voci di coloro che hanno perso una persona cara per mano del gruppo criminale ed ha chiesto una revisione della normativa sulle scarcerazioni. Anche Anna Maria Stefanini, madre di Otello, carabiniere ucciso dalla banda il 4 gennaio 1991 a Bologna, ha ricordato che, se Occhipinti si fosse pentito prima, molte persone, tra cui il figlio, sarebbero ancora vive. I più addolorati sono i congiunti di Carlo Beccari, che vedono uno degli uomini che materialmente hanno ammazzato il ragazzo tornare in libertà. Tra questi il padre di Carlo, Luigi: “È solo un assassino, colpevole di aver ucciso una persona innocente, mio figlio” urla ai giornalisti di Repubblica dal letto di ospedale dov’è ricoverato in questi giorni.