La Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha confermato la condanna di un soggetto che ha divulgato il numero di un conoscente in una chat senza la previa autorizzazione del diretto interessato. L'imputato, che aveva presentato ricorso in Cassazione in seguito alla condanna a quattro mesi di reclusione in secondo grado, ha tentato di giustificare la sua condotta adducendo le frequenti e moleste telefonate che subiva da tempo e che lo avrebbero spinto a vendicarsi attraverso la diffusione del numero del suo stalker. Stando a quanto sostenuto dalla Suprema Corte, le molestie sopportate dal ricorrente non costituendo una scriminante della condotta illecita non giustificano la reazione.
Il comportamento corrisponde, quindi, ad una violazione del codice della Privacy e più precisamente dell'art. 167 che sanziona il trattamento illecito dei dati personali.
Cosa stabilisce il codice Privacy
Il decreto legislativo n. 196 del 2003, denominato Codice in materia di protezione dei dati personali, è la fonte normativa di riferimento nella tutela del diritto della privacy. All'articolo 1 stabilisce testualmente che "chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano". Il Codice distingue i dati in quattro tipologie fondamentali: i dati personali, sensibili, supersensibili e giudiziari. I dati personali (il numero di telefono rientra fra questi) possono essere trattati solo previo consenso del diretto interessato.
Quelli sensibili (si pensi alle opinioni politiche) e supersensibili (es. stato di salute) possono essere oggetto di trattamento solo in presenza di un'apposita disposizione di legge. Infine il trattamento dei dati giudiziari (es. le informazioni del casellario giudiziale) richiede un'espressa autorizzazione di una norma di legge o un provvedimento del Garante della privacy.
Il Garante della privacy è l'autorità amministrativa indipendente istituita nel 1996 e chiamata a vigilare sul rispetto del Codice.
La provocazione come circostanza attenuante
Nel caso presentato, la Corte di Cassazione, oltre a confermare la condanna del ricorrente, ha previsto il pagamento delle spese processuali ed un congruo rimborso in favore della parte lesa, riconoscendo tuttavia in favore del soccombente la circostanza attenuante legata allo stato d'ira originatosi dalle continue provocazioni subite.