Il giallo dell’improvvisa morte di Imane Fadil, la modella marocchina 34enne, testimone chiave nel processo “Ruby Ter”, si infittisce ulteriormente. Secondo alcune indiscrezioni di stampa, riportate dal Corriere della Sera, una nuova ipotesi relativa alle cause del decesso sta prendendo piede.
Cinque giorni dopo la scomparsa della donna, avvenuta il primo marzo, l’ospedale Humanitas di Rozzano avrebbe ricevuto il risultato delle analisi dei campioni di sangue della paziente, affidati ad un laboratorio specializzato di Pavia, dato che gli esami tossicologici effettuati precedentemente in loco non avevano portato a nulla di significativo.
Secondo questo nuovo referto, sarebbe stata rilevata la presenza di un insieme di sostanze radioattive che “non si possono trovare normalmente in commercio”.
Prudenza sul caso da parte dei magistrati di Milano
Sarebbe stato quindi questo mix di veleni a far ammalare la Fadil, consumandola a poco a poco fino a farla dimagrire in modo impressionante e ad ucciderla a soli 34 anni. Una rivelazione per certi versi sorprendente, che potrà essere ulteriormente chiarita dai nuovi esami sulla salma, i quali dovranno stabilire con certezza la veridicità di quanto scoperto e la natura degli agenti radioattivi impiegati.
Tuttavia il procuratore Francesco Greco preferisce mostrarsi prudente e dichiarare che al momento non si deve escludere nessuna ipotesi, compresa quella che si sia potuto trattare di una brutta malattia.
Ma è fin troppo facile tornare con la mente ad alcuni recenti casi internazionali, come quello dell'ex spia russa Aleksandr Litvinenko, avvelenato in circostanze misteriose dalle radiazioni del polonio-210 a Londra nel 2006.
Un mese di agonia in ospedale, dopo il ricovero del 29 gennaio
I punti certi della vicenda sono ancora pochi: il 14 gennaio Imane Fadil aveva partecipato all’udienza del processo “Ruby Ter” di Milano, che vede Silvio Berlusconi ed altre 27 persone imputate di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza.
Quel giorno il giudice aveva negato alla Fadil e ad altre due testimoni chiave, Chiara Danese e Ambra Battilana, la possibilità di costituirsi come parte civile e quindi di ottenere dei risarcimenti.
Un paio di settimane dopo la modella si era sentita male, mentre si trovava a casa dell’amico che la stava ospitando in quel periodo.
Il 29 gennaio è stata portata all’Humanitas: inizialmente i medici avevano pensato ad un’infezione come la leptospirosi, ma le sue condizioni sono andate via via aggravandosi, tanto da farla trasferire in rianimazione dopo alcuni giorni.
Durante questo periodo la modella marocchina avrebbe più volte manifestato ai parenti e all'avvocato Paolo Sevesi la convinzione di essere stata avvelenata.