Il movente del delitto ancora non è chiaro, ma sull’assassino non ci sono più dubbi. Ad ammazzare Romina Iannicelli, 44enne residente a Cassano allo Ionio, nel cosentino, è stato il marito, Giovanni Di Cicco, che secondo quanto riporta Repubblica avrebbe confessato l’omicidio agli inquirenti. La vicenda presenta ancora numerosi lati oscuri. A lanciare l’allarme martedì mattina sono stati alcuni parenti della donna, incinta al quarto mese, che avevano un appuntamento con lei. Quando non si è presentata ed è risultata irreperibile al telefono sono corsi nella casa dove Romina viveva, in una palazzina nel centro del paese.

Nell’abitazione hanno trovato tutto messo a soqquadro e in una stanza giaceva, ormai privo di vita, il corpo della loro congiunta. Non c’era, invece, nessuna traccia del marito che per molte ore è risultato irreperibile.

Il marito della vittima avrebbe confessato il delitto

Secondo quanto raccontato dal procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla, la Iannicelli sarebbe stata prima brutalmente picchiata e poi ripetutamente colpita con un corpo contundente, forse un bastone. Infine l’assassino avrebbe anche tentato di soffocarla, probabilmente con il cavo di un telefono. Solo nel pomeriggio il marito della vittima è stato rintracciato dai carabinieri. Giovanni Di Cicco avrebbe raccontato di aver ucciso la moglie mentre era sotto l’effetto di droghe, una versione che sembra non convincere gli inquirenti pronti a fare ulteriori accertamenti.

Come detto, il movente del delitto non è stato ancora accertato. Alcuni anni fa la vittima era stata arrestata per spaccio ma fin dall'inizio gli inquirenti hanno escluso che la vicenda fosse legata al traffico di sostanze stupefacenti.

L’agguato al fratello di Romina in cui morì anche il nipotino di tre anni

Romina era la sorella di Giuseppe Iannicelli, vittima nel 2014 di uno dei più efferati delitti mai compiuti dalla ‘ndrangheta in zona.

L’uomo era nella sua auto, una Fiat Punto, insieme alla compagna, la 27enne marocchina Ibtissam Touss e al nipotino Cocò Campolongo, di tre anni, quando i tre vennero raggiunti dei sicari, freddati a colpi di pistola e bruciati insieme alla vettura. I killer non ebbero nessuna pietà del bambino, che il nonno portava sempre con sé, utilizzandolo come “scudo”, credendo così di poter sfuggire agli agguati degli uomini del clan degli Abbruzzese, suoi rivali nel controllo dello spaccio in quell’area.

La drammatica morte del piccolo Cocò portò Papa Francesco, nel corso della sua visita pastorale nella vicina piana di Sibari, a lanciare una vera e propria scomunica contro i delinquenti che lo avevano ammazzato.