Cinque provvedimenti di fermo e 19 arresti eseguiti fra Reggio Calabria e Trento, 13 milioni di euro di beni sequestrati in via preventiva d'urgenza. È questo il bilancio dell'operazione anti-'ndrangheta 'Pedigree 2' portata a termine all'alba del 15 ottobre dai carabinieri del Ros di Calabria e Trentino coadiuvati dagli agenti della Squadra Mobile competenti per territorio. I soggetti fermati o colpiti dall'ordinanza esecutiva di misure cautelari sono ritenuti appartenere alla cosca Serraino, tra le più potenti 'ndrine della Locride.
Operazione 'Pedigree 2': altro duro colpo al clan 'ndranghetista dei Serraino
Proprio a Reggio Calabria l'inchiesta condotta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, in coordinamento investigativo tanto con i sostituti della Dda reggina Stefano Musolino, Sara Amerio e Walter Ignazitto quanto coi magistrati della Dda di Trento, ha permesso di individuare a carico dei cinque soggetti fermati elementi indiziari per reati che vanno dall'associazione di stampo mafioso allo scambio elettorale politico-mafioso sino al porto e detenzione abusiva di armi. Secondo gli inquirenti, l'operatività di questi soggetti si sarebbe radicata nell'ambito della provincia di Reggio Calabria, riproducendo la stessa struttura organizzativa della 'ndrangheta di Cardeto.
Da qui si è ipotizzato che avessero esteso il proprio controllo attraverso un'apposita locale sita nella provincia di Trento (con base a Lona-Lases). Il che ha fatto scattare l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei diciannove indagati ritenuti affiliati allo stesso clan Serraino.
L'indagine si pone come prosecuzione dell'operazione 'Pedigree' dello scorso luglio, che aveva portato a 12 arresti, tra cui quello del presunto capo-bastone della 'ndrina Serraino Maurizio Cortese, della moglie - nonché, secondo gli inquirenti, sua 'portavoce' - Stefania Pitasi e Antonino Filocamo, affiliato della cosca divenuto collaboratore di giustizia.
Grazie alle sue dichiarazioni, gli inquirenti avrebbero verosimilmente individuato la pista che ha permesso la maxi-retata di qualche giorno fa.
Coinvolti anche quattro amministratori locali: anche l'ex assessore reggino Sebastiano Vecchio
Tra i soggetti fermati c'è anche l'ex assessore e consigliere comunale di Reggio Calabria Sebastiano Vecchio, già poliziotto ora sospeso dal servizio per motivi disciplinari.
Vecchio - secondo gli inquirenti - sarebbe stato il 'referente politico' a piena disposizione del clan Serraino. Lo confermerebbero le dichiarazioni di otto collaboratori di giustizia: "L'abbiamo fatto salire noi", ha spiegato agli inquirenti il pentito Vittorio Fregona. E poi "c'era il discorso di mangiare", vale a dire di realizzare il tipico scambio di favori che il politico, presumibilmente eletto grazie ai voti dei soggetti intranei al clan Serraino, avrebbe assicurato loro infiltrando nelle istituzioni a parenti e amici dei Serraino.
Inoltre, stando alle accuse, l'assessore avrebbe funto da prestanome in attività commerciali legate alla cosca e, grazie al suo accesso diretto ai fascicoli, avrebbe rivelato informazioni sulle indagini in corso nei confronti degli uomini del clan.
Un legame a filo doppio, insomma, quello ci cui avrebbe dato prova, e senza nemmeno nasconderlo. Al punto da comparire perfino in veste istituzionale al funerale del boss Domenico 'Mico' Serraino.
Nell'ambito del filone tridentino dell'operazione, i carabinieri del Ros di Trento hanno dato esecuzione a un'ordinanza cautelare che coinvolge altri tre politici: l'ex parlamentare autonomista di Arco Mauro Ottobre (candidato a presidente della Provincia nel 2018 ma risultato non eletto), l'ex sindaco di Frassilongo Bruno Groff e l'ex sindaco di Lona-Lases Roberto Dalmonego. Per i primi due l'accusa è di aver accettato la promessa di un 'pacchetto' di voti da parte di presunti esponenti della cellula locale di 'ndrangheta.
Quanto a Dalmonego, gli inquirenti lo accusano di aver accettato promesse di voti da parte di un costruttore della Val di Cembra (la valle del porfido) poi fatto consigliere comunale.
Il radicamento della 'ndrangheta al Nord: storia di una persistenza
Gli agenti della Dia di Reggio Calabria, in cooperazione con quella di Milano, hanno pure eseguito il sequestro preventivo d'urgenza di otto società, di cui tre con sede a Milano e una a Vimercate. Altri immobili sequestrati, per un valore complessivo di 13 milioni di euro, sono risultati appartenere a sette indagati: fra questi (per lo più residenti tra Africo e Bianco) si conta anche un imprenditore lombardo secondo il comunicato stampa della Dia del 15 ottobre 2020.
Ciò a significare - attraverso le risultanze delle operazioni di arresto e sequestro - come la 'ndrangheta ancora una volta riveli una natura sempre più tentacolare, non più circoscrivibile a propaggini più o meno estese del territorio calabro. Non è la prima volta che indagini 'nate' di fatto in Calabria conducano a scoprire delle insidiose ramificazioni di questa organizzazione criminale (e delle sue 'ndrine) nel Nord Italia, con la ormai frequentissima necessità di un complesso coordinamento investigativo tra diverse direzioni distrettuali antimafia.
Limitandoci anche solo a questo mese, ad esempio, la famiglia Mancuso di Limbadi è stata colpita da un sequestro di beni per un milione di euro.
Beni che appartenevano a Giuseppe Carvelli, titolare di una catena di 'giro pizza' nella Brianza, dove era sospettato aver riciclato i soldi della cosca. Nello stesso senso parla la sentenza di primo grado del processo Aemilia 1992, che ha inflitto un duro colpo alla 'ndrina Grande Aracri di Cutro trapiantata a Reggio Emilia, con la condanna all'ergastolo del boss Nicolino 'Mano di Gomma' per l'omicidio di Giuseppe Ruggiero consumato durante una faida tra famiglie rivali nei primi anni '90.