Alberto Genovese non ha ammesso gli abusi di cui è accusato e sui famigerati festini ha detto che le partecipanti non erano delle sprovvedute, ma ci andavano appositamente per drogarsi. La trasferta vacanziera a Ibiza, poi, era concepita come un lungo periodo di sballo a base di cocaina e alcol.

Domenica 28 febbraio, l'imprenditore 43enne mago delle start up digitali, a San Vittore, dove è detenuto dallo scorso 6 novembre, è stato nuovamente interrogato dal gip dopo aver ricevuto in carcere una seconda notifica di arresto. È accusato di abusi, sequestro di persona, lesioni e cessione di droga ai danni di due modelle, una 18enne e una 23enne.

Genovese, la sua versione sui fatti di Ibiza

La vacanza estiva a Ibiza in una lussuosa dimora, villa Lolita, era "il mese dello sfascio" programmato. Trenta giorni in trasferta nella residenza paradisiaca in cui Genovese e la corte al seguito, in prevalenza composta da ragazze, da mattina a sera si drogavano e si ubriacavano. Lo ha raccontato l'imprenditore, interrogato in videoconferenza per più di un'ora, dal gip Tommaso Perna e dal pm Rosaria Stagnaro, alla presenza dei legali Luigi Isolabella e Davide Ferrari.

Una 23enne lo ha accusato: il 10 luglio 2020, a Ibiza, Genovese avrebbe abusato di lei per ore fino al giorno successivo, dopo averle fatto assumere massicce dosi di cocaina e ketamina rendendola incosciente.

Un abuso feroce per Procura e gip. "Lei era consenziente", la replica di Genovese. Ci sarebbe stata la complicità della fidanzata di Genovese, Sarah Borruso, anche lei indagata, ma a piede libero: avrebbe partecipato ad almeno due episodi. La 23enne sarebbe stata fatta uscire dalla camera da letto dell'imprenditore portata a braccio da lui e dalla fidanzata non potendosi reggere in piedi.

Già interrogato dopo la denuncia della 18enne, Genovese aveva affermato che la dipendenza dalla cocaina gli farebbe perdere il confine tra azioni lecite e illecite.

Nella versione dei fatti fornita domenica da Genovese, la 23enne con cui avrebbe avuto una breve relazione e che già avrebbe partecipato alle feste nel suo attico di lusso milanese, sarebbe stata consenziente, come tutte le altre.

Lividi e ferite che la 23enne aveva sul corpo avrebbero una spiegazione. Genovese ha sostenuto che la ragazza sarebbe stata talmente 'fatta' che avrebbe cominciato ad agitarsi come in preda a una crisi epilettica. Per evitare che si potesse fare male, lui e la fidanzata l'avrebbero tenuta. Nell'altro caso denunciato dalla 18enne, immagini e video inchioderebbero l'imprenditore.

Genovese, a Ibiza anche il pusher di fiducia

Nel corso dell'interrogatorio, Genovese ha detto di aver consumato a Ibiza una quantità enorme di alcol e stupefacenti dall'inizio della vacanza, al punto che lui e gli ospiti, dopo l'arrivo a villa Lolita, sarebbero stati svegli per quattro giorni consecutivi. Alla festa del 10 luglio, tutti i partecipanti sarebbero stati drogati.

Non si sarebbe trattato certo di un'anomalia, bensì della normalità ai suoi party.

A Ibiza, Genovese aveva portato anche uno spacciatore di fiducia, in grado di far arrivare droga in qualsiasi luogo del mondo. Uno dal quale si rifornivano un po' tutti quelli che erano nel suo entourage, che lo avrebbe anche sfruttato ben sapendo che in quegli ambienti la domanda era continua e gli affari assicurati.

Genovese, il 'sistema' feste

Nel corso dell'interrogatorio Genovese, oltre a fare i nomi dei pusher da cui si riforniva, ha chiarito come funzionava il 'sistema' feste. Lui metteva a disposizione tutto, gratuitamente, compresa una grande quantità di cocaina che sarebbe stata la principale calamita: le ragazze avrebbero partecipato ai party proprio perché c'era.

Di solito, erano gli uomini a portarla.

Genovese ha anche fatto una distinzione tra feste a base di droga e feste in cui invece non si assumeva. A Villa Lolita, una scalinata avrebbe diviso lo spazio tra gli invitati che assumevano droga e gli altri. A disposizione dei presenti, diversi piatti: ognuno poteva scegliere la sostanza preferita, cocaina, ketamina e 2cb. Poi, bottiglie di sostanze psicotrope in forma liquida, contrassegnate con dei nastri. Per l'indagato i partecipanti, da assuntori esperti, sapevano riconoscere le sostanze e lui non avrebbe potuto ingannare presunte vittime dando loro una droga diversa per poi commettere abusi. Partecipanti facoltosi portavano droga dall'esterno e la offrivano, "ma mai con l’obiettivo di fare del male a qualcuno".

Genovese ha detto, infine, di stare male in carcere. La difesa aveva chiesto gli arresti domiciliari in una clinica per disintossicarsi dalla droga, ma l'istanza è stata respinta. Ora potrebbe fare nuovamente ricorso al Riesame contro la seconda ordinanza.