A molti potrà apparire inspiegabile che il legno di una nave antichissima, risalente a due millenni e mezzo fa, possa mantenersi intatto, almeno nella forma, per giungere fino a noi dopo essere stato immerso a 2000 metri di profondità. La scoperta, annunciata il 23 ottobre scorso riguarderebbe una nave mercantile greca affondata nel Mar Nero (innanzi la costa dell'odierna Bulgaria) con il tutto il suo prezioso (allora come oggi ma per ragioni diverse) carico di vasi e recipienti e suppellettili dei quali per ora si può solo immaginare lo stupore che saranno in grado di suscitare anche tra il grande pubblico e non solo tra studiosi ed esperti di archeologia e storia dell'Arte antica.

Legno archeologico e non archeologico

Il legno assorbe molto bene l'acqua: è una delle sue caratteristiche. Tuttavia, il legno "non archeologico", che non è sottoposto a processi di alterazione dovuti alla giacenza in ambienti inusuali, si conserva bene a temperatura ed umidità costanti. Al contrario, quello "archeologico" è un legno "sepolto", a diretto contatto con elementi che possono degradarlo fino al suo completo sbriciolamento, un processo che si determina sia attraverso perdita delle componenti di olocellulosa - cellulosa ed emicellulosa - che mediante la caduta meccanica della lignina, il componente strutturale del legno stesso.

Il legno archeologico si trasforma

Ora, fin tanto che non s'inneschi un processo di degrado il legno è salvo.

Ma solo nella forma: il legno di un'imbarcazione immersa nell'acqua subisce la perdita di estratti e zuccheri solubili per erosione e se aggredito da batteri anaerobi perde anche emicellulosa e cellulosa, lasciando tuttavia pressoché intatta la lignina la quale, per non collassare si serve, paradossalmente, proprio dell'acqua.

Così, il legno transitando dalla morfologia originaria a quella nuova, si adatta al nuovo ambiente rimanendo stabile.

Il pericolo è nel ritorno in superficie

Il legno archeologico, ormai prevalentemente costituito di lignina, rischierebbe, se non venisse adeguatamente trattato nel suo ritornare alla luce, di collassare per la perdita proprio del suo nuovo componente, l'acqua della quale è imbibito: la lignina, essiccandosi, perderebbe così volume e forma.

Per questa ragione, il legno di una nave antica deve essere sottoposto ad un delicatissimo e graduale trattamento di sostituzione dell'acqua con un materiale consolidante in grado conferire forza meccanica alla lignina rimasta, salvaguardandone la forma e la residua resistenza. Tuttavia, avendo cura di evitare una nuova, invasiva alterazione fino a rendere artificiale una condizione naturale.

Il dibattito tra gli studiosi

Si tratta dell'eterno dibattito che anima archeologi ed esperti di conservazione e restauro: come agire per conferire stabilità a manufatti che verrebbero compromessi se strappati al loro ultimo sito? E come impedire che nuovi componenti chimici producano alterazioni irreversibili se non dannose?

E soprattutto, valutata la necessità di alterazioni per il superiore fine della conservazione, sul piano storico ed estetico, cosa si sta davvero conservando: un manufatto antico oppure uno ormai "modernizzato"?

I precedenti illustri

Così, come per il vascello svedese "Vasa" - che affondò clamorosamente nel porto di Stoccolma al momento del varo nel 1628 e che venne riportato in superficie solo nel 1961 - o per le tre navi vichinghe del IX secolo interrate e riportate alla vista tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, oppure per le trenta navi romane conservate a Pisa ed oggetto di un lungo restauro iniziato alla fine degli anni '90 e durato l'arco di sedici anni, le scelte che hanno guidato gli esperti hanno privilegiato un approccio pragmatico, basato su approfondite indagini preliminari.

La "Nave di Ulisse" rimarrà sul fondo del Mar Nero

Come avvenuto per queste antiche navi, potremo mai ammirare in un museo la ribattezzata "Nave di Ulisse"? Secondo l'archeologo Joe Adams, a capo della spedizione che ha realizzato lo straordinario ritrovamento del mercantile greco - molto simile alla nave dipinta sul "The Siren Vase" conservato al British Museum - la nave al momento non potrà essere rimossa per evitare che la sua fragile struttura possa venire compromessa vanificando l'importante progetto di ricerca dell'Università di Southampton. Attività che del resto prosegue - già rinvenute almeno 60 imbarcazioni di varie epoche - nelle acque del Mar Nero. Pelago caratterizzato da un ecosistema singolarmente adatto a preservare storie silenziose e lontanissime. Destinate forse a rimanere tali.