A 10 anni dall'ultima visita ufficiale di un leader cinese in Italia, il presidente Xi Jinping è tornato nel nostro Paese per firmare un Memorandum of Understanding relativamente alla Nuova Via della Seta. Chiamato anche Belt and Road Iniative (Bri, o Obor), questo ambizioso progetto avviato qualche anno fa, ha poco - o nulla - a che vedere con la Via della Seta di Marco Polo. Se come ha sottolineato anche il presidente Sergio Mattarella, i rapporti commerciali ed economici saranno "a doppio senso", l'accordo, che assicura tante opportunità, non è privo di rischi.

In molti, infatti, si domandano, cosa si aspetta la Cina da noi?

La nuova via della Seta

Il presidente Sergio Mattarella, ieri, ha ricevuto al Quirinale il presidente cinese Xi Jinping, Un incontro carico di aspettative (ma anche di polemiche) in quanto la visita era finalizzata alla firma del Memorandum of understanding che punta a collegare l'Asia all'Europa e all'Africa e migliorare la collaborazione, in vari ambiti, tra la Cina ed il nostro Paese.

La Nuova Via della Seta, invisa agli Stati Uniti (e vista con diffidenza da Francia e Germania) è stata annunciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013 e si propone di coinvolgere 65 diversi Paesi - che ospitano circa il 65% della popolazione mondiale - e che rappresentano circa il 40% del Pil.

Si stima che la sua realizzazione costi almeno 900 miliardi di dollari: una cifra decisamente importante che neppure il colosso cinese sarebbe in grado di gestire da solo. Così, nel 2014, Pechino ha deciso di lanciare il fondo da 40 miliardi Silk Road Fund (conosciuto anche come China Investment Corporation-Export and Import Bank-China Development Bank), volto ad attrarre investimenti esteri.

Inoltre, altri 100 miliardi sarebbero erogati dalla Banca Asiatica d'investimento per le infrastrutture (Aiib), a cui partecipano anche diversi stati europei.

Gli ambiti interessati: opportunità e rischi

Per quanto riguarda l'Italia, il presidente Mattarella, ha ribadito l'importanza che i nuovi rapporti economici e commerciali italo-cinesi siano improntati alla trasparenza ed alla equità e che rispondano ai principi di concorrenza, agevolando il riequilibrio della bilancia commerciale e conseguentemente la rimozione di barriere per i prodotti italiani.

Il presidente Xi ha dichiarato la disponibilità del proprio paese "ad importare più prodotti italiani di qualità".

L’obiettivo principale della Cina, però non è quello di favorire lo scambio di merci. Gli analisti, infatti, hanno già fatto notare che la Nuova Via della Seta nasconde un nuovo modello di globalizzazione Pechino-centrico che potrebbe servire al "Dragone" per accrescere la propria influenza, in diversi settori, nel Vecchio Continente.

I porti

La Cina è interessata a investire sui porti italiani (e sul corridoio alpino-balcanico). In particolare, "fanno gola", Trieste, Genova, Ravenna e Palermo. Le trattative, in alcuni casi, sono già state avviate e i grandi operatori cinesi potrebbero riuscire nell'impresa di rilanciare gli scali italiani e riconfigurarli come crocevia degli scambi nel Mediterraneo.

Il primo timore, però, è che i cinesi possano mettere a repentaglio la sicurezza italiana e ridiscutere la nostra collocazione euro-atlantica. Al di là degli interessi commerciali, infatti, i porti potrebbero essere utilizzati anche per scopi militari.

Da "sbrogliare", inoltre, anche il nodo della concorrenza fra i diversi scali italiani: Genova, infatti, vede con preoccupazione l’intesa tra Trieste e la cinese Cccc (privata dal punto di vista formale, ma con capitali di Stato).

Il 5G

La Cina vorrebbe realizzare la nuova rete infrastrutturale 5G, considerata la nuova frontiera della telefonia mobile. Per farlo, pensa di mettere in campo il colosso della telefonia Huawei. Oltre a dare impulso alle tecnologie per le cosiddette "smart cities", l'ingresso di un nuovo operatore potrebbe accrescere la concorrenza e, dunque, favorire i processi d’innovazione.

Il nostro Paese ha già fatto sapere di essere intenzionata a depennare, per motivi di sicurezza, il capitolo del 5G dal memorandum d’intesa. Diverse compagnie di telecomunicazioni cinesi, infatti, nelle scorse settimane sono finite sotto i riflettori internazionali per via dell'arresto, da parte delle autorità canadesi, di Lady Huawei, I dubbi, avanzati soprattutto dagli States, è che la società sia uno "strumento nelle mani di Pechino" e stia operando per conto del regime.

Finanza

Il nostro Paese, nel corso del 2019, "piazzerà" nel portafoglio di operatori privati più di 200 miliardi di euro di titoli pubblici. I grandi istituti bancari cinesi, con il loro intervento, potrebbe attenuare sensibilmente la pressione sui tassi di interesse e potrebbe anche aumentare il flusso d’investimenti cinesi.

Si preparano, inoltre, a fare il loro debutto i ‘Panda bond’, ovvero titoli sottoscritti da investitori istituzionali emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti sul mercato cinese.

Decidere di accettare gli investimenti, però implica l'accettazione anche dell’apertura dei bandi di gara alle imprese cinesi. Questo, secondo gli americani, potrebbe portare ad una serie di investimenti ‘predatori’ ed a una 'colonizzazione strisciante'. Per ora, infatti, due degli otto Paesi aderenti, hanno visto un peggioramento del loro indebitamento a causa degli interessi sul debito, dovuti a scadenze non onorate (legate a degli onerosi impegni che sono stati costretti ad accettare).

Calcio

Da alcuni anni, la Cina, ha "investito" nella serie A italiana.

il gruppo Suning, ad esempio, nel 2016 ha acquisito la quota di maggioranza dell’Inter. Yonghong Li, invece si prese il Milan. Così si è avanzata l’ipotesi di giocare un match di Serie A a Pechino, ma anche di sviluppare e migliorare la tecnologia Var e pensare ad una nuova commercializzazione dei diritti tv.

Gabriele Gravina, presidente della Figc, però ha già il chiuso a questa possibilità: «Il campionato - ha tuonato - si gioca in Italia perché si chiama italiano».

I rischi, anche in questo settore, potrebbero essere diversi: ad esempio ci potrebbero essere nuove società cinesi interessate ad acquistare squadre italiane. E non bisogna sottovalutare la possibilità che gli investimenti nel calcio vengano utilizzati per pratiche poco corrette.