Oggi mancano tre settimane esatte al ‘Brexit’, il referendum tramite il quale i cittadini del Regno Unito sono chiamati a decidere su un tema di enorme importanza: la permanenza o l’uscita dall’Unione Europea. Fino a pochi giorni fa vari sondaggi indicavano che la maggioranza (seppur risicata) dei cittadini britannici voleva rimanere nell’Unione Europea. Ma nelle ultime ore la situazione è cambiata. Lo testimonia un sondaggio lanciato da The Guardian, i cui risultati danno in vantaggio (per la prima volta) i ‘brexiters’, al 52%, contro il 48% dei pro-UE.
Il modello australiano
Questa variazione a cosa è dovuta? Nei giorni scorsi, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson ha parlato di alcune novità che, impossibile negarlo, sono piaciute agli elettori del Regno Unito. Una proposta che ha fatto impennare i consensi per l’uscita dall’UE è quella di seguire il modello australiano sull’immigrazione. Perché l’immigrazione è uno dei punti cardine (il più importante, insieme all’impatto economico) su cui si gioca la partita del referendum.
Johnson e la prima linea di ‘Vote Leave’ hanno proposto una ‘tessera punti’. L’immigrante che vuole entrare nel Regno Unito, a prescindere che sia cittadino europeo o extracomunitario, dovrà sostenere un test con punteggio finale in lingua inglese per dimostrare di conoscere la lingua.
I ‘front runner’ di Brexit hanno dichiarato: “L’immigrazione ha effetti benefici sotto l’aspetto economico, sociale e culturale per la Gran Bretagna. Ma prima di garantire nuovi ingressi, dobbiamo effettuare controlli su chi arriva. Attualmente, qualsiasi cittadino dell’Unione può entrare liberamente, e questo vuol dire che non si può effettuare alcun controllo”.
Le conseguenze sull’economia
Se da una parte molti cittadini britannici sono convinti che maggiori controlli sull’immigrazione siano necessari, dall’altra gli effetti economici (almeno quelli a breve termine) dell’eventuale uscita dal mercato unico, secondo molti esperti, saranno tutt’altro che positivi. L’Ocse ha fatto notare che il Brexit ha già avuto le sue prime conseguenze sull’economia britannica.
Gli economisti, infatti, a inizio anno avevano ipotizzato una crescita del PIL del 2,1% per l’anno in corso. Ora la stima è scesa all’1,7%. Un altro sondaggio effettuato da The Obsever, a cui hanno partecipato 600 economisti britannici, ha consegnato un verdetto su cui c’è poco da discutere: 9 economisti su 10 (l’88% degli intervistati) affermano che l’uscita dal single market avrà conseguenze negative sull’economia britannica.
Anche David Cameron, attuale Primo Ministro, è fermamente convinto che la Gran Bretagna debba rimanere all’interno dell’Unione Europea: “Il nostro Paese si impoverirebbe e per nostra economia le conseguenze sarebbero devastanti”. Insomma, entrambe le scelte di voto hanno conseguenze positive e negative.
Ma resta il fatto che se la Brexit dovesse diventare realtà nel referendum che si terrà tra 21 giorni esatti, a Londra non ci sarebbe più la libera circolazione dei lavoratori, ma allo stesso tempo nemmeno la libera circolazione di beni e servizi, a cui l’economica britannica è abituata da diversi decenni a questa parte. E che potrebbe causare uno ‘shock’ da cui ci vorranno diversi anni per riprendersi completamente.