Oggi a Aix-le-Chapelle, una località proprio al confine franco-tedesco, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel firmeranno un trattato che per oltre sessant’anni l’Italia aveva fatto di tutto per evitare.
Oggetto del trattato, ufficialmente, sarebbe la cooperazione e l’integrazione franco-tedesca, una normale materia nei rapporti bilaterali tra Stati, se non fosse che Francia e Germania fanno parte di una più ampia organizzazione internazionale: l’Unione europea.
Cosa dice il trattato di Aix-Le-Chapelle
Nel trattato, i due Stati creano un unico consiglio dei ministri franco-tedesco e consigli unici di difesa e sicurezza nonché di esperti economici. Inoltre, almeno una volta a trimestre, un membro del governo di un paese, in alternanza, prende parte, come osservatore, al consiglio dei ministri dell’altro.
Il trattato ribadisce una Politica estera e di difesa comune – peraltro già concordata a livello euro-unitario – e impegna i due Stati a promuovere la convergenza economica, sociale e fiscale in tutte le sue dimensioni. Inoltre, la Francia s’impegna a favorire l’ingresso della Germania quale membro permanente al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Sono tutte dichiarazioni d’intenti che andranno verificate nelle sedi più vincolanti, quali quelle degli organismi europei e dell’ONU ma sanciscono di fatto la guida franco-tedesca dell’intera UE.
Per quanto ci riguarda, sanciscono per la prima volta dal dopoguerra la sconfitta della politica estera italiana che aveva sempre mirato a non farsi escludere dai consessi che contano a livello internazionale.
Effetto Brexit e firma di Aix-Le Chapelle
La firma del trattato di cooperazione franco-tedesca non può che essere individuata tra le conseguenze della Brexit.
La presenza del Regno Unito nell’Unione europea, infatti, aveva sempre mirato ad impedire – quando ha potuto – eventuali convergenze franco tedesche.
Per questo la diplomazia italiana, allora chiaroveggente, si era battuta con forza, negli anni sessanta, per l’ingresso della Gran Bretagna nella comunità europea, sino a spuntarla, nel 1973.
Da questo punto di vista, la prima ad essere stata politicamente danneggiata dalla Brexit, è l’Italia.
La Brexit doveva essere colta dai nostri politici come un’occasione per mostrare l’affidabilità del nostro paese, nel panorama europeo, quale impedimento alle spinte centrifughe. Invece, non si può negare che l’estrema confusione attuale dell’Italia, per quanto riguarda la politica internazionale, con le dichiarazioni “sovraniste” dei nostri politici, le strizzatine d’occhio al nazionalista ungherese Orban, i recenti attacchi alla politica economica francese nell’Africa sahariana e, soprattutto, il rifiuto di firmare la PESC-Politica europea di difesa comune, ci abbiamo escluso da ogni possibile consesso.
Sul problema del mantenimento del numero attuale dei membri permanenti al Consiglio di sicurezza ONU, che hanno diritto di veto sulle sue decisioni, l’Italia era riuscita a creare una convergenza con i paesi del terzo mondo. Ora, con la Francia che, su questo fronte, tira la volata alla Germania, i rapporti vanno rafforzati. Ci riuscirà, pur con la sua grande professionalità, una diplomazia in trincea a subire le reazioni estere alle esternazioni dei nostri attuali governanti? Ai posteri l’ardua sentenza.