In Italia la notizia passa attraverso un post su Facebook. Datato 31 agosto è firmato da un professore della scuola italiana pubblica che ha svolto servizio di insegnamento alla Don Bosco del Cairo ed è appena rientrato in Italia dall’egitto. “Pensavo di chiudere l’esperienza egiziana in allegria, grato a studenti e colleghi per i bei giorni passati assieme”, scrive, ma “invece, a quasi tutti i miei studenti della quinta classe, dopo un regolare corso di studi, suggellato dal superamento di regolari Esami di Stato, è stato rifiutato il visto per l'Italia, dove avrebbero voluto frequentare l’università”.

Si tradiscono le aspettative di questi giovani “che hanno speso cinque anni a studiare in una lingua non loro (e a scrivere in una scrittura non loro) e che hanno imparato ad amare l'Italia”.

Una piccola storia emblematica

Ci sono venticinque studenti, appena diplomati alla Don Bosco del Cairo, che hanno chiesto e ottenuto l’iscrizione in diverse facoltà dell’università italiana, e in diverse città. Solo una minoranza, cinque o sei, ottiene il visto di ingresso. Il Consolato del Cairo rigetta le altre richieste per mancanza di “solidità economica”. E gli studenti rimangono nella loro città, in mano un sapere faticosamente guadagnato e divenuto inutile. La loro scuola non ha colpe. Loro non hanno colpe.

E le regole sono state rispettate.

“La mia famiglia ha fatto molti sacrifici”

Tuttavia in precedenza una “stretta” simile non sembra si sia mai verificata. “Tutti noi – dice Kirollos Yousef Moatamed - abbiamo fatto gli stessi documenti. Io ho preso cento su cento, volevo frequentare il Politecnico di Bari, ingegneria elettronica”.

D’altronde, “l’esperienza al Don Bosco è stata per me eccezionale. In questi anni si sono costruite le fondamenta della mia personalità. E' stato difficile, ma ne valeva la pena. Certo, la mia famiglia ha fatto molti sacrifici economici per consentirmi di studiare al Don Bosco”.

Mentre si nega l’accesso all’Italia, però, l’Italia spende per garantire alla scuola italiana in Egitto la presenza e il lavoro di propri docenti, ai quali, per vivere e operare lì, fornisce specifico indennizzo.

Alla Don Bosco sono solo due i posti riservati a docenti italiani “prestati” al Cairo. Ma restano comunque un costo. Ci si impegna a formare nuove generazioni egiziane all’insegna della cultura italiana e poi non si mietono i frutti di questa formazione.

“Non siamo criminali”

“Volevamo partire semplicemente perché ci siamo costretti. Non abbiamo altre possibilità qui in Egitto, è quasi impossibile frequentare un'università qui. Soprattutto, abbiamo studiato in Italiano e in tutte le università in Egitto si studia in inglese o in arabo”, spiega Ahmed Abdel Halim. Che aggiunge:Non siamo criminali, siamo studenti italiani e siamo diplomati con un diploma italiano e parliamo l'Italiano molto bene.

Tra noi ci sono studenti che hanno anche realizzato brevetti. Siamo molto bravi e abbiamo molta esperienza. Abbiamo perso la possibilità di iscriverci ad una università egiziana, dobbiamo aspettare un anno e decidere cosa fare, se continuare gli studi qui oppure riprovare ad andare in Italia. In questo momento mi sembra che abbiano distrutto il nostro futuro e i nostri sogni. Ci hanno rifiutato perché il reddito familiare è minore di 500 Euro al mese, ma noi abbiamo un conto corrente apposito che ci sarebbe servito a mantenerci in Italia per il primo anno. E abbiamo perso tanti soldi, circa 600 Euro, per produrre i documenti necessari e alla fine siamo ancora qui. Rifiutando noi, l’Italia rifiuta di espandere la propria cultura”.

“Noi consideriamo l'Italia un Paese avanzato – conclude Kirollos Yousef Moatamed - un Paese a noi familiare, un Paese con il quale abbiamo stretto amicizia e profondi rapporti. Studiare in Italia significa un miglioramento del nostro livello culturale che ci apre nuove vie e nuove opportunità. E che ci permette di essere utili sia a noi stessi che all'Egitto ed all'Italia”.