Un tema caldo già negli scorsi e caldissimo anche alla fine di questo 2016. I famigerati “buoni lavoro”, nati nel 2003 dopo la riforma del lavoro che ha costato la vita al politico Marco Biagi, erano stati concepiti come un sistema di pagamento per il lavoro occasionale di tipo accessorio. Tale tipologia di pagamento voleva gestire sia dal punto di vista previdenziale che infortunistico, alcune prestazioni d'opera che tendenzialmente sfuggivano a ogni forma di tutela, di imposizione fiscale e tributaria. Con il passare degli anni, le varie riforme al decreto legislativo 276 del 10 settembre 2003 ne hanno favorito una larga diffusione, facendolo diventare da un lato uno strumento di evasione delle norme fiscali e previdenziali.
E per quanto riguarda il lavoratore interessato una sorta di contentino da 10 euro, pardon, 7,50 netti per un posto di lavoro a tempo molto determinato.
L'evoluzione della normativa
Dopo l'entrata in vigore dei voucher come sistema di pagamento occasionale per lavori domestici, di giardinaggio, di insegnamento privato supplementare, di attività agricole ai giovani sotto i venticinque anni di età iscritti regolarmente presso un istituto scolastico, oppure agli over 25 sempre regolarmente iscritti presso un'università, la normativa che regolava inizialmente i buoni lavoro è stata estesa nel 2012 a tutti i settori. Nel corso del 2016 invece, viene introdotta la tracciabilità con un decreto correttivo del Jobs Act.
Dunque, tentare di limitare l'abuso, soprattutto nel campo dei servizi e del commercio, introducendo l'attivazione obbligatoria 60minuti prima dell'uso. Con tale operazione il lavoratore dovrà fornire i dati anagrafici e il proprio codice fiscale, pena una sanzione che va da 400 a 2.400 euro. Per quanto riguarda il tetto, invece, le retribuzioni percepite non devono superare i 7mila euro netti all'anno, e ridotta a 3mila per quelle persone che già percepiscono una integrazione salariale.
Il proliferare dei voucher
Si dice che fatta la legge, fatto l'inganno. Le nuove misure che il governo si appresterebbe a varare con il nuovo anno sono simili a un'ulteriore revisione della normativa che, a detta di alcuni ministri, starebbe diventando uno strumento di “preconizzazione” generale del lavoro e contrasterebbe l'essenza stessa del Jobs Act.
In effetti, i buoni lavoro venduti nel nei primi mesi del 2016 ammontano a circa 110milioni euro, un aberrante 35% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Tutto da rifare quindi, o quasi. Intanto la platea di disoccupati e inoccupati stenta a diminuire.