Non poteva che fare un certo scalpore la rinnovata (non nuova) presa di posizione di Tito Boeri sulla questione immigrati. Secondo il presidente dell'Inps il lavoro degli stranieri contribuisce in maniera importante al mantenimento del sistema pensionistico italiano. Quelli che già lavorano regolarmente sul territorio, infatti, sono generalmente giovani (perciò molto lontani dal riscuotere i contributi che stanno versando), e inoltre, nel caso in cui questi lavoratori decidessero di tornare nel loro paese prima di arrivare all'età pensionabile, avrebbero versato contributi all'Inps "a fondo perduto".

Le polemiche che questa uscita del presidente dell'Inps ha suscitato sono varie. Al dibattito hanno partecipato, sostanzialmente, due fazioni: da un lato coloro, come Boeri, che ritengono utili gli immigrati per il contributo che apportano col loro lavoro, per la ricchezza che apportano; dall'altro personaggi che, come Salvini, ritengono invece la presenza degli stranieri su territorio italiano un peso economico, un costo.

Gli immigrati ci servono, gridano gli uni; no, ci fanno danno, gridano gli altri.

È chiaro che tanto il danno quanto il vantaggio vengono da tutti misurati secondo il metro dell'utilità della manodopera straniera.

Risorse umane

Probabilmente, dal punto di vista del sistema di produzione, Boeri ha ragione. Ma proprio questo è il problema che nessuno dei due schieramenti sopra riportati ha posto in evidenza.

Secondo il discorso del presidente dell'Inps, gli immigrati avrebbero iniziato a far parte a pieno titolo (in posizione di salariati un po' più sfruttati degli altri) di quelle che vengono ormai definite Risorse Umane.

Una simile definizione ha il pregio di accomunare lo status degli immigrati a quello di milioni di italiani che, senza entusiasmo, si trovano costretti a condividerlo. L'innalzamento progressivo dell'età pensionabile, la caduta rovinosa del potere d'acquisto e la difficoltà crescente nel garantirsi beni primari come l'alloggio (per dirne alcune), ci parlano tutti dello stesso fenomeno: veniamo considerati come risorse utili al fine della riproduzione di noi stessi in quanto forza-lavoro.

Questo terreno accomuna tremendamente noi a loro, gli "italiani" agli "immigrati".

Secondo questa visione, gli uomini sono ingranaggi di una macchina produttiva, e il loro salario deve essere calibrato sul loro livello di sussistenza di modo da consentire la riproduzione fisiologica della vita e la creazione di altra manodopera. Ecco quale destino Boeri traccia implicitamente per gli immigrati, come ad esempio quelli che vivono e lavorano in condizioni di minima sussistenza nel Foro Boario di Saluzzo (si guardi il reportage di Maurizio Pagliassotti uscito su Il Manifesto del 20/07/2017); e stesso destino, in linea di principio, aspetta noi se continuiamo ad accettare la retorica del lavoro, che "rende liberi", e dei "sacrifici" necessari che "ci chiede l'Europa".

Italiani / immigrati?

È necessario opporsi a questa Politica, a questi discorsi che vorrebbero metterci gli uni contro gli altri e che continuano a classificarci come risorse umane anziché come soggetti di diritto. E questo vale tanto per noi quanto per gli immigrati che raccolgono pomodori a Rosarno. Risorse per chi? Questa è la domanda.

In questa contesa non c'è cosa più inutile che mantenere la divisione italiani / immigrati, prendendo i secondi come capro espiatorio per le difficoltà dei primi. Risorse umane, soggetti sfruttati: ecco la vera definizione che entrambi comprende.