Questi ultimi giorni sono stati caratterizzati da uno scenario politico inusuale e, in qualche modo, molto diverso rispetto alle legislature a cui eravamo abituati fino ad oggi. Del resto un sentore di cambiamento radicale era già nell'aria da quel fatidico 4 marzo, giornata che ha visto il superamento della "vecchia" Politica a favore di un rafforzamento di due partiti/movimenti così diversi ma cosi uguali nell'essere promotori di un nuovo modo di porsi e di lavorare all'interno dell'apparato statale.

Per troppi anni gli italiani sono stati abituati a non interessarsi più di politica, ad avere un atteggiamento negativo e passivo nei confronti dei soggetti, delle scelte e delle decisioni che venivano prese nelle stanze del potere.

Con il crollo dell'ultimo governo Berlusconi nel 2011 e il nulla di fatto delle elezioni politiche del 2013, che hanno visto un susseguirsi di governi sempre più lontani dalla volontà popolare, la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni è calata notevolmente e la frase "tanto non cambia niente" era quasi la conclusione d'obbligo per ogni discorso su questo tema.

Il ritorno al voto del 4 marzo è stato visto come una riappropriazione di quel diritto Costituzionale che garantisce al popolo di poter decidere del proprio presente e futuro, di poter affidarsi a quel qualcuno in cui crediamo o, per altri, al meno peggio che c'è sul mercato, ma in entrambi i casi di poter finalmente riprendere in mano il proprio paese.

O almeno così dovrebbe essere.

Oltre a darci la piena responsabilità del futuro del paese, il voto è anche, a tutti gli effetti, una delega. Ognuno di noi con quella crocetta tende a liberarsi la coscienza da quel fardello e onere che tutti sentiamo un po' nostro: l'interesse nella cosa pubblica e la volontà di fare qualcosa per migliorarla.

La delega ad un rappresentante del popolo è uno dei più forti strumenti di democrazia che rischia tuttavia, come dimostrato ampiamente in questi anni, di diventare un escamotage per abbandonare quelle tematiche a noi tanto care . Ci legittima a diventare soggetti passivi e a riporre tutta la fiducia nelle mani del delegato che, purtroppo, non sempre lavora per gli interessi di chi l'ha votato.

Diventa quindi un modo facile per liberarci la coscienza ma altresì uno strumento pericoloso che allontana l'interesse dei cittadini nei confronti della politica.

La nostra opinione conta davvero?

Siamo stati quindi capaci di fare una scelta, i leader democraticamente eletti hanno preso la situazione in mano e, dopo vari tentativi di approcci, consultazioni e sforzi di intesa bilaterali il possibile programma di governo giallo-verde ha preso forma ed è stato posto sotto l'attenzione di media e istituzioni.

Programma già ampiamente messo in discussione dalle varie forze politiche contrapposte, definito superficiale, non attuabile, utopistico e per alcuni pericoloso per l'integrità dei rapporti con l'Europa.

Tuttavia è pur sempre un programma che i delegati hanno steso e sottoscritto e che deve passare al vaglio del Quirinale per essere attuato con una squadra di governo responsabile. Siamo quindi di fronte al classico iter governativo dove la discussione si sposta dalle urne al parlamento e, se sulle nomine dei rappresentati avevamo voce in capitolo, sul programma legislativo abbiamo le mani legate. Tuttavia nelle ultime ore siamo di fronte ad un qualcosa che ribalta in parte questa certezza.

Quello a cui sono stati chiamati i cittadini il 4 marzo era solo la prima fase di un percorso di ricerca di approvazione politica costante. I due leader di carroccio e 5 stelle stanno mettendo al vaglio dei cittadini le 40 pagine del "Contratto del governo del cambiamento", uno dei più sofferti e sudati degli ultimi anni.

E' stato chiesto agli elettori di leggere - forse per la prima volta - e analizzare 40 pagine che si configurano come una proposta di cambiamento per l'Italia a loro dire, quindi dall'Italia deve arrivare in questi giorni l'approvazione o meno del loro faticoso lavoro di intesa.

Non è una novità per gli elettori e sostenitori del movimento di Di Maio, abituati da anni a partecipare alla vita politica dei pentastellati attraverso il portale Rousseau. La lega di Salvini invece ha optato per le più tradizionali piazze del paese nelle quali i cittadini potranno esprimere la loro opinione a favore o contro la manovra di governo.

Di sicuro qualcosa sta cambiando, se non nella sostanza forse nella forma, e la politica sta accompagnando il paese alla partecipazione, da troppi anni trascurata o forzatamente interrotta.

Quanto e come la nostra opinione continuerà a pesare nelle scelte successive lo scopriremo solo col tempo, certo è che questo potrebbe essere un piccolo passo avanti nella democrazia tale da portarci, forse, alle porte della terza "social" Repubblica.