Il governo giallo-verde si farà. Movimento5Stelle e Lega hanno chiuso il cerchio nella serata di ieri sul programma da presentare al Colle. Il tavolo di concertazione che ha lavorato notte e giorno per non far saltare il banco ha definito anche gli ultimissimi dettagli. Manca la sottoscrizione di Luigi Di Maio e Matteo Salvini che, tuttavia, si sono dati appuntamento questa mattina alla Camera per confrontarsi non più sui temi ma sui nomi del governo nascente. La casella del premier è tuttora scoperta ma, stando alle ultime indiscrezioni raccolte, non rappresenta più un problema.
La spartizione dei ministeri ha soddisfatto il Carroccio che, da par sua, non si opporrà all’ingresso di un grillino a Palazzo Chigi. L’unica condizione posta da Salvini a Di Maio è quella di puntare su di un nome apprezzato, possibilmente non sgradito agli ex alleati del Centrodestra. Il capo del M5S pare stia ragionando su una rosa ristretta di quattro nomi (Danilo Toninelli, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede ndr). L’ipotesi invece che pareva mettere d’accordo tutti, Emilio Carelli, ha preso e perso quota con una velocità sorprendente. Di Maio sa bene che dalla scelta del nuovo premier dipenderà anche la tenuta interna del Movimento: lo zoccolo duro pretende e ha già chiesto che l’ambita vetrina vada a un esponente storico della prima ora.
Salvini all’Interno libera Di Maio?
Ciò che potrebbe apparire un problema in realtà rinvigorisce la speranza del capo grillino. Dopo aver accontentato la Lega sui ministeri giudicati cruciali nella trattativa (Interno, Agricoltura, Ambiente in primis), Salvini ha rimosso il veto su Di Maio premier. Del resto tutte le figure terze contattate negli ultimi giorni hanno rispedito al mittente l’invito di assumere le redini del nuovo governo.
Perché? Di Maio e Salvini non vogliono correre rischi affidandosi a un potenziale leader in grado di guastare i piani dei due promessi sposi. Il nuovo premier dovrà recepire esclusivamente le direttive impartite, riponendo nel cassetto dei sogni autonomia e intraprendenza. Dettaglio non trascurabile, inoltre, è la richiesta del Capo dello Stato di tornare al Colle con un nome vero (tecnico o politico che sia).
Per tutto questo Di Maio è tornato in corsa perché rappresenterebbe il garante più convincente di un governo già autoproclamatosi del cambiamento. Un ulteriore indizio sulla credibilità di questo scenario lo ha consegnato ieri ai suoi follower Salvini che ha messo virtualmente le mani sul Viminale: “Un ministero della Lega che si occupi di sicurezza e di difesa dei confini sarebbe garante che in Italia entra esclusivamente chi ha il permesso”.
Berlusconi, lo spread e Di Battista
A complicare l’avvicinamento alle nozze di M5S e Lega, oltre alle sollecitazioni di Mattarella, è la brutta aria che si respira sui mercati. La guerra all’austerity, alla eurocrazia, all’euro, alla riforma Fornero, ha risollevato il vento dell’incertezza economica sull’Italia.
Il fantasma che spazzò via nel 2011 il governo Berlusconi, lo spread, è tornato a salire vertiginosamente. “Più ci attaccano e più mi fanno capire che siamo sulla strada giusta” ha replicato Di Maio. Meno diplomatico è stato Salvini che si è scagliato contro gli ultimi attacchi dell’Ue: “Provano a fermarci con i soliti ricatti ma stavolta si cambia con più lavoro e meno clandestini, più sicurezza e meno tasse”. A certificare il clima negativo che si respira oltre confine è stato Silvio Berlusconi a margine del vertice del Ppe a Sofia: “In Europa c’è grande preoccupazione per ciò che sta accadendo in Italia, per i possibili contraccolpi di un eventuale governo M5S-Lega”. A difesa dei suoi compagni è tornato ad alzare la voce Alessandro Di Battista, lontano dalle dinamiche di Palazzo ma solo a chiacchiere.
“I potenti senza volto stanno cercando di buttare già un governo non ancora nato - ha scritto su Facebook - “Siate patrioti, voi rappresentate il popolo italiano non gli emissari del capitalismo finanziario”.