'Dico che bisogna mettere in stato d’accusa il Presidente'. Riportate da ilfattoquotidiano.it, sono state queste le parole pronunciate da Luigi Di Maio dopo la remissione dell’incarico di premier da parte di Giuseppe Conte nelle mani di Sergio Mattarella e il discorso di quest’ultimo, parole di gravità inaudita, quelle, cartine di tornasole di tutta la dubbia caratura e serietà politiche del MoVimento 5 Stelle.
Il perché del fallimento
Perché però Conte ha rimesso il mandato nelle mani del presidente della Repubblica? La ragione è la seguente: il giurista si trovava a dover tentare una mediazione impossibile.
Da un lato, infatti, non poteva non tenere conto della volontà penta-leghista di assegnare il ministero dell’Economia a Paolo Savona. Dall’altro, doveva cercare di rasserenare gli umori neri del Quirinale proprio in merito a quel nome, del quale il Colle non gradiva il respiro euroscettico. Per ore, per giorni, il premier in pectore, Matteo Salvini, Di Maio, lo stesso Mattarella hanno cercato la 'quadratura del cerchio', invano. Sulla questione si scontravano due diverse sensibilità: quella sostanzialmente antieuropeista della Lega e del M5S, e quella europeista del capo dello Stato. Fino alla spaccatura, appunto, alle dimissioni di Conte - le quali, dunque, hanno indicato lo scacco dell’intesa tra il Quirinale e i giallo-verdi -.
La 'messa in stato d’accusa'
Ed è proprio dopo il discorso con il quale Mattarella ha sottolineato l’impossibilità di un accordo tra il Colle e Lega-M5S su un ministro di sospetto euroscetticismo per un dicastero così importante per l’Italia in Europa e nel mondo come quello dell’Economia che, in una telefonata durante la trasmissione Che Tempo Che Fa, il capo politico pentastellato ha pronunciato, come riporta ilfattoquotidiano.it, le parole 'Dico che bisogna mettere in stato d’accusa il Presidente'.
Di Maio ha insomma invocato l’impeachment per Mattarella, una richiesta che peraltro anche Alessandro Di Battista (altro 'big' del Movimento), in un comizio a Fiumicino, ha ribadito - e che anche Fratelli d’Italia ha evocato.
Davvero vi è stato un attentato alla Repubblica?
Esattamente, che cos’è un 'impeachment'? È l’applicazione dell’articolo 90 della Carta, che sancisce come il Parlamento possa mettere in stato d’accusa il capo dello Stato nel caso di 'attentato alla Costituzione'.
Ma è proprio qui il punto: vi è stato un attentato alla Repubblica? La risposta, che ne dissantano M5S e FdI, è no. Il capo dello Stato, nell’opporsi al nome indicato da Conte per il ministero dell’Economia, ha agito secondo i poteri attribuitigli dalla Carta, perché, si ricordi, è solo il presidente della Repubblica a poter nominare un certo ministro proposto dal premier. E se Mattarella ha negato il suo assenso al nome Savona è stato perché temeva per la stabilità finanziaria italiana, che avrebbe traballato nel caso di un nome che, nonostante ogni posticiccia e tardiva rassicurazione, è comunque euroscettico, espressione di forze di governo sostanzialmente antieuropeiste.
Il capo dello Stato, dunque, ha agito ancora una volta per il bene dell’Italia.
Chi, invece, non ha agito nei suoi interessi di lungo corso è proprio il M5S (oltre che la Lega), il quale invocando a gran voce l’impeachment mette in evidenza la fragilità della sua caratura e serietà politiche: non si può infatti domandare a gran voce un’azione così radicale come la messa in stato d’accusa di un presidente della Repubblica solo perché quest’ultimo, agendo in ossequio alla Costituzione, ha impedito che quella forza Politica salisse al potere. È semplicemente assurdo. È ancora più assurdo, invero, che quella compagine parlamentare fosse in procinto di prendere il potere. Peggio: forse è addirittura pericoloso che un’entità politica siffatta, che muove accuse di tal genere infondate alla prima carica dello Stato, sia in condizioni, potenzialmente, di assumere il potere anche in futuro.