Roma, 13 febbraio 2017: il luogo e la data delle probabili dimissioni da leader del Pd di Matteo Renzi. Dimissioni che, però, non sono ancora ufficiali, ma che lo diventeranno tra sabato e domenica, quando si terrà l'Assemblea nazionale del Partito Democratico, il primo passo verso la convocazione del Congresso.

Il Congresso e le Primarie

Questi erano infatti i temi sui quali la Direzione del Pd di ieri era chiamata ad esprimersi: la durata della legislatura e le eventuali elezioni anticipate nonché, appunto, la data e le regole del futuro Congresso, dal quale si aprirà la strada verso le Primarie del partito - che si terranno, forse già il 30 aprile, con le regole del 2013.

Temi sui quali Matteo Renzi ha riportato una mezza vittoria. Perché se da un lato è riuscito a far votare al partito un documento nel quale si annuncia l'avvio dell'iter congressuale e delle Primarie, dall'altro non è stato capace di perseguire l'obiettivo delle elezioni anticipate a giugno. E ciò a causa di un accordo strategico con Dario Franceschini. Un'intesa, questa, con la quale si dilata la sopravvivenza del governo Gentiloni fino all'autunno del 2017, o fino alla scadenza naturale della legislatura stessa, febbraio 2018. In merito, riporta Repubblica.it, ecco le dichiarazioni di Renzi in Direzione: “Se si voterà a giugno, a settembre o a febbraio non riguarda l'essenza del Pd”.

La minoranza Pd

E la minoranza interna al partito? Ieri, in Direzione, Matteo Orfini ha fatto mettere ai voti il documento presentato da Renzi e renziani, nonché dalle altre correnti di maggioranza (Areadem, Giovani Turchi, "Martiniani"), ma non ha permesso il voto sul documento della minoranza, con il quale, riporta ancora Repubblica.it, si chiedeva di "sostenere Gentiloni fino a scadenza naturale mandato"; la "convocazione di un congresso in tempi tali da garantire il coinvolgimento della nostra comunità con una discussione larga e approfondita"; di anteporre un'assemblea "alla fase finale della scelta della leadership da svolgersi fra i mesi di ottobre e novembre 2017".

Roberto Speranza, scrive Repubblica.it, ha affermato che: “Non capisco perché non hanno fatto votare quel testo, la conclusione complica un po' le cose rispetto a un buon dibattito. È stata fatta una forzatura”. Forzature, difficoltà, che pur sono già presenti nel Pd, ad iniziare dai rapporti con Pierluigi Bersani e Massimo d'Alema, membri della corrente post-comunista del partito.

Che paventano una possibile scissione. In tal modo ha infatti risposto lo stesso Bersani, riporta LaStampa.it, alla domanda su un possibile divorzio dal Pd: “Vedremo...”.

Il discorso di Renzi in Direzione

E proprio sulle ipotesi di scissione si è soffermato Renzi nel suo discorso alla Direzione, nel quale ha ufficiosamente dichiarato di dimettersi da segretario Pd. Un discorso che, però, ha toccato anche altri temi: il voto del 4 dicembre, in merito al quale - scrive LaStampa.it - ha ricordato che “Era una finale secca, e io purtroppo l'ho persa”; le sfide future che attendono il partito, sulle quali ha detto che “Improvvisamente è scomparso il futuro dalla narrazione della Politica italiana, l'Italia sembra rannicchiata nella quotidianità”; il rapporto con la stessa minoranza, nei confronti della quale ha sottolineato che “Io credo che l'ennesimo passo indietro non sarebbe capito neanche dai nostri”.