"Nessuno è al di sopra della legge". Nessuno, nemmeno l'uomo politico più potente del mondo. Il populismo di Donald Trump subisce per il momento una forte battuta d'arresto. Certamente la questione non è finita qui, lo staff della Casa Bianca ha già annunciato ricorso ma, ad oggi, il decreto controverso firmato dal presidente degli Stati Uniti che per tre mesi avrebbe bloccato l'accesso nel Paese ai cittadini provenienti da sette nazioni a maggioranza islamica, "a rischio terrorismo" (secondo Trump, ndr) è stato temporaneamente bloccato. Il dipartimento di Stato ha annullato la cancellazione dei visti, pertanto tutto come prima fino a sentenza contraria.

La svolta arrivata da Seattle

Il suo nome è James Robart ed in poche ore è finito nel mirino dei sostenitori della 'linea dura' di Trump che hanno sparso fuoco e fiamme sui social. Il citato giudice di Seattle ha stabilito che la causa avviata dagli Stati di Washington e del Minnesota contro il 'ban anti-Islam' è più che fondata. L'ingiunzione contro il decreto presidenziale scatta dunque a livello nazionale. Secondo il parere di Robart si tratta di un provvedimento "discriminatorio" che, oltretutto, "apporterà danni ai residenti". La denuncia partita da Washington e Minnesota, inoltre, puntava l'indice contro alcuni passaggi del decreto, definendoli "incostituzionali". Sarà dunque questo il nodo legale di tutta la questione, stabilire o meno la costituzionalità del ban.

Non è errato pensare che si finisca davanti alla Corte Suprema alla luce delle intenzioni bellicose della Casa Bianca.

Nella Storia, in meno di un mese

Donald Trump è già nella storia americana e non soltanto perché si tratta del primo presidente a non avere mai svolto in passato incarichi politici o militari. L'ondata di dissenso provocata dal provvedimento ha scatenato una marea di proteste in tutti gli States e, inoltre, non era mai accaduto che la magistratura bloccasse un decreto della Casa Bianca a meno di un mese dall'insediamento del presidente.

La reazione del diretto interessato è stata ovviamente durissima. "L'opinione di questo giudice è ridicola - dice Trump - perché priva il nostro Paese della legalità e gli impedisce di decidere su chi può entrare ed uscire per ragioni di sicurezza. Verrà sicuramente rovesciata". Ha poi rincarato la dose su Twitter. "Anche alcuni Paesi del Medio Oriente sono d'accordo con il bando perché sanno che se viene consentito l'ingresso a certe persone, il risultato è morte e distruzione".

La mappa del terrorismo anti-americano

Siria, Libia, Iran, Iraq, Yemen, Sudan, Somalia. Sono questi i Paesi interessati al ban della Casa Bianca. In realtà sarebbe interessante stabilire in base a quali canoni è stato elaborata questa classificazione, visto che tutti gli attentati terroristici di matrice islamista commessi negli Stati Uniti dopo l'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 non riguardano in nessun caso i cittadini di questi Paesi. Si è trattato, anzi, di cittadini americani o residenti permanenti nel Paese. In questo secondo caso, le nazioni di provenienza sono l'Egitto, la Russia, il Pakistan ed il Kirghizistan. Nessuno di questi rientra nel decreto. Se dunque ci si dovesse basare sui dati, il provvedimento fa acqua da tutte le parti.

Intanto la corazzata Trump è stata duramente colpita ma, ovviamente, naviga ancora. Una metafora per indicare che la guerra sarà ancora lunga anche se la credibilità internazionale del nuovo presidente, qualunque sia l'esito del 'conflitto', ne esce seriamente intaccata. E dopo soli 15 giorni dal suo ingresso alla Casa Bianca è un poco invidiabile primato.