L’emendamento alla manovra economica che fa rientrare dalla finestra i voucher - usciti dalla porta e cancellati dal governo Gentiloni per evitare il referendum della Cgil - riesce nel doppio miracolo di spaccare sia il Pd che il governo. L’approvazione del provvedimento, avvenuta sabato mattina in commissione Bilancio della Camera, è stata infatti possibile grazie alla convergenza dei voti della maggioranza fedele a Matteo Renzi all’interno del Pd e dei senatori berlusconiani. I forzisti, in pratica, si sono sostituiti non solo agli esponenti di Mdp, il partito scissionista guidato da D’Alema e Bersani, ma anche ai tre rappresentanti dell’area orlandiana, fedeli al ministro della Giustizia Andrea Orlando.

I sospetti dei bersaniani

Il vero significato di quanto accaduto lo riassume in 140 caratteri su Twitter Arturo Scotto, passato sotto le insegne bersaniane dopo l’esperienza in Sinistra Italiana. “Sui voucher Forza Italia vota con il Pd. Mdp: ‘Il primo voto della nuova legislatura’”, ha cinguettato ieri il parlamentare ex vendoliano. E un altro fedelissimo del politico di Bettola, Miguel Gotor, si spinge fino ad affermare che Matteo Renzi “di fatto è il nuovo Berlusconi”. Insomma, secondo i rappresentanti di quello che resta della sinistra italiana, il nuovo Patto del Nazareno sarebbe già in dirittura di arrivo.

La ‘trappola’ di Renzi alla Sinistra sui voucher

Gli esponenti della sinistra anti renziana accusano il segretario Pd di cercare deliberatamente l’incidente parlamentare per mettere in crisi la traballante maggioranza che sorregge l’Esecutivo a guida Gentiloni e andare al voto anticipato entro ottobre.

E quale occasione migliore di far ricadere la responsabilità della fine della legislatura, per giunta sul tema Lavoro, sui nuovi ‘nemici’ dalemiani? “Come lo scorpione con la rana, i parlamentari di Mdp mettono a rischio governo e maggioranza: è nella loro natura, votano contro i nuovi voucher pur sapendo che l’alternativa è il lavoro nero”, attacca, infatti, sempre su Twitter, il senatore renzianissimo Andrea Marcucci.

I dubbi sul voto di fiducia

A questo punto, il passaggio del testo al Senato diventa decisivo per le sorti del governo Gentiloni. Se, come sembra in questo momento, tra circa 15 giorni il segretario Pd dovesse decidere di utilizzare il voto di fiducia, non ci sarebbero più dubbi sul fatto che il suo intento sia quello di costringere la sinistra a rompere gli equilibri della maggioranza. Una provocazione che servirebbe a far ricadere su di loro la responsabilità del voto anticipato. In questo senso vanno le dichiarazioni del capogruppo Dem alla Camera, Ettore Rosato, secondo il quale “c’è la Costituzione che prevede cosa succede nel caso non ci siano i numeri”. Ovvero: senza i 15 voti di Mdp a Palazzo Madama la maggioranza non esisterebbe più.

Intanto, proprio il segretario Cgil, Susanna Camusso, si dice “sconcertata” e annuncia dalla pagina Facebook del sindacato una manifestazione nazionale, convocata il 17 giugno per protestare contro “l'evidente violazione dell'articolo 75 della Costituzione e l'impedimento ai cittadini di votare”.