Donald Trump concluderà a Taormina il suo viaggio nei luoghi caldi e di frontiera del Medio Oriente e del Mediterraneo, dopo aver personalmente reso noto a “sudditi” ed alleati la sua linea di politica estera nell’area, così come aggiornata lo scorso aprile, a seguito del bombardamento della base siriana di al-Shayrat. Il Presidente americano è giunto a Riyad, la capitale dell’Arabia Saudita, dove ha parlato di fronte ai leader del Gulf Cooperation Council che riunisce gli Stati produttori di petrolio del Golfo Persico (tranne l’Iran), poi si è recato a Gerusalemme e, infine, giungerà in Europa.
In Medio Oriente la vede così
A Ryad, Trump si è presentato con la moglie Melania, la figlia Ivanka e il genero Jared Kushner, di religione ebraica e sionista convinto. Le due donne non si sono presentate in minigonna ma non hanno indossato veli di sorta, come d’obbligo per le cittadine saudite, così come a suo tempo fece Michelle Obama e, recentemente, Theresa May. Ed è stato il primo “rospo” che i sauditi hanno dovuto trangugiare, volenti e nolenti.
Dopo aver rasserenato gli animi dei suoi interlocutori siglando un accordo per la fornitura di 300 miliardi di dollari di armi, di cui 110 subito, Trump si è accinto a esternare come la vede nell’area. In primis ha detto di non essere contro i musulmani ma contro i terroristi e, forse, qualcuno dei presenti si è chiesto cosa volesse dire, visto che i principali finanziamenti all’ISIS e ad Al Qaeda provengono proprio dai paesi del Golfo.
Il Presidente ha subito indorato loro la pillola precisando che, tra i terroristi, include soprattutto l’Iran sciita, irriducibile nemico degli sceicchi presenti in platea.
Appurato che l’Iran, insieme all’ISIS, sia il nemico principale, non crediamo che altri passaggi del discorso di Trump abbiano fatto particolarmente piacere ai leader arabi.
In particolare, le motivazioni che ha dato alla sua “battaglia di civiltà” contro il terrorismo, secondo cui: “Significa essere uniti nella condanna contro l'uccisione di innocenti musulmani, l'oppressione delle donne, la persecuzione degli ebrei, il massacro dei cristiani”.
Tutto ciò, in un paese che non riconosce lo Stato d’Israele ed ha appena acquistato armi per rivolgerle contro i ribelli yemeniti di religione islamica; dove le donne sono – per legge – sottomesse al padre e ai mariti e debbono coprirsi il volto e il corpo, in un’area dove i cristiani stanno fuggendo in massa da alcuni decenni per evitare di essere perseguitati e, spesso, massacrati.
Con Nehetaniau solo rose e fiori
Armati gli arabi, “the Donald” è subito partito alla volta di Tel Aviv a rassicurare il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Israele e la lobby ebraica degli Stati Uniti, infatti, grazie ai buoni uffici del genero Kushner, sono stati alcuni dei “grandi elettori” di Trump nel novembre scorso. Il Presidente USA ha detto di credere in “un rinnovato sforzo per raggiungere la pace tra israeliani e palestinesi”, mentre il premier israeliano ha incassato l’ostracismo di Trump contro gli hezbollah libanesi, longa manus di Teheran nell’area e principali nemici di Israele, insieme ad Hamas. Di Assad e di Putin non si è accennato nei discorsi ufficiali.
Fine del tour in Europa
Oggi Trump fa tappa a Roma. Che ci viene a fare? Si è chiesto qualcuno. Ma, a conferire con il Papa! Non crediamo, infatti, che il nostro premier Gentiloni possa far nulla di più degli onori di casa al suo importante ospite. Poi il viaggio presidenziale proseguirà per Bruxelles, presso la sede UE, dove ci aspettiamo toni più moderati verso l’Europa, rispetto a quelli minacciosi sbandierati in campagna elettorale. Qualcuno dello staff, infatti, avrà spiegato a Trump che ergere barriere economiche tra USA ed Europa fa soltanto l’interesse della Cina.
Infine, a Taormina, alla riunione del G7, si parlerà finalmente – pensiamo – dell’argomento principale del tour: quali rapporti intrattenere con Putin? Attendiamo con ansia.