È notizia di qualche giorno fa la 'riconquista', a Mosul, della Grande moschea di al Nuri – o almeno di ciò che rimane – da parte delle truppe dell’esercito iracheno. La moschea era uno dei quattro maggiori luoghi sacri dell’Islam, dopo quella della Mecca, di Medina e quella di Omar a Gerusalemme, tanto che fu scelta, tre anni fa, da Abu Bakr al Baghdadi, per proclamare al popolo la nascita dello Stato islamico o Daesh.

Abbiamo detto 'ciò che rimane' perché immediatamente prima dell’evacuazione, le milizie di Daesh l’hanno fatta saltare in aria, anche se poi hanno accusato di ciò l’aviazione USA.

Dopo la ripresa in possesso delle rovine, il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha solennemente dichiarato di star assistendo alla fine dello Stato islamico. Ma è proprio vero?

In alcuni quartieri di Mosul si combatte ancora casa per casa

La moschea e il suo minareto pendente erano posti nel cuore del centro storico di Mosul, dove i jihadisti si erano asserragliati per lottare sino all’ultimo uomo di fronte all’avanzare delle milizie governative. Una volta insediatesi queste, i miliziani dell’Isis sono ripiegati in ordine sparso verso la zona est della città dove ancora resistono alcune sacche di resistenza. In realtà, anche all’interno della città vecchia sembra che siano presenti alcune centinaia di combattenti che presidiano una zona di meno di un chilometro quadrato.

Nella zona est della città e specificatamente in periferia, ci sarebbero, invece, almeno due aree piuttosto estese, presidiate dai guerriglieri dell’ISIS. Il controllo dei governativi nel resto della metropoli, tuttavia, non è affatto consolidato perché alcuni commandos jihadisti continuano a compiere – a tratti – attentati e attacchi 'mordi e fuggi' che rimettono in discussione l’avanzata; in particolare nella 'città medica' dove i governativi sono fortemente impegnati.

Bilancio dell’escalation anti Daesh

La presente escalation dei governativi e delle milizie curde ha permesso di liberare dallo Stato islamico ben quattro milioni di cittadini iracheni delle città di Tikrit, Ramadi e Falluja oltre che di Mosul. Vaste zone del paese, tuttavia, sono ancora in mano all’ISIS; in particolare ad ovest di Kirkuk e in una fascia di oltre 400 chilometri, alla frontiera con la Siria, per un totale di circa 36 mila kmq: un’area grande circa come il Triveneto.

Qui dovrebbe aver trovato rifugio al Baghdadi, erroneamente dato per morto dai comunicati russi e siriani.

In Siria le milizie curde, coperte dall’aviazione USA, stanno portando un attacco alla città di Raqqa, capitale del territorio siriano in mano all’ISIS. Tale attacco non trova completamente favorevole la Russia e il governo di Bashar El Assad perché temono che i jihadisti, una volta espulsi da Raqqa, possano ripiegare nei territori da loro controllati. Insomma, la situazione non è ancora in via di definizione e si continuerà a combattere per altri lunghi mesi.

Dove continuerà l’azione dell’ISIS?

Il problema di capire dove potranno trovare rifugio i miliziani dell’ISIS, se e quando lo Stato Islamico sarà dissolto è, infatti, il quesito principale.

Non è improbabile che possano ricongiungersi con i gruppi antigovernativi siriani, dove la componente jihadista di Al Qaeda continua a svolgere un ruolo sempre maggiore. La componente irachena e nord-siriana, invece, potrebbe continuare a combattere l’elemento curdo della regione all’interno delle frontiere turche, magari assistito da quel maestro del doppiogiochismo quale è Recep Erdogan.

Sicuramente, ciò che rimane delle milizie avrà meno possibilità di finanziamento, una volta perso il controllo dei pozzi di petrolio del territorio dell’ex Stato islamico e scacciati dai giacimenti culturali di Palmira, Ninive, fonti dei traffici clandestini di beni culturali. Non gli dovrebbe mancare, invece, l’opportunità di allestire ancora campi di addestramento per i terroristi da inviare in Occidente, magari europei convertiti alla causa. Territori desertici o semidesertici, atti allo scopo, in Medio Oriente non mancano.