In un articolo dal titolo “Il Pd tassa i manager pubblici che nomina” il giornalista del quotidiano Libero, Franco Bechis, accende un faro sul sistema di potere del Pd che, secondo le notizie da lui riportate, costringerebbe gli amministratori pubblici eletti su indicazione del Nazareno a versare un contributo obbligatorio nelle casse del partito. L’obolo richiesto ai manager oscillerebbe tra il 6 e il 30% dello stipendio percepito, differente a seconda del ruolo ricoperto e della regione in cui si lavora. Tutto legale, almeno così pare, e reso pubblico su documenti ufficiali, come riporta la meticolosa inchiesta di Bechis.

Ma si tratta di soldi pubblici. Notizia che ha fatto sussultare il M5S che, tramite il blog di Beppe Grillo, accusa il Pd di aver costituito un vero e proprio “Sistema” finalizzato a chiedere il “pizzo”, pagato dai dirigenti con soldi pubblici, appunto.

L’inchiesta di Bechis su Libero

L’articolo pubblicato sul giornale diretto da Vittorio Feltri prende in esame i regolamenti finanziari e i regolamenti interni delle federazioni locali del Pd nei diversi territori, fornendone anche una riproduzione. Da questi documenti, scrive Bechis, si desume che la media della “tassa” richiesta ai manager pubblici fedeli al partito di Matteo Renzi si aggirerebbe intorno al 10% dello stipendio percepito. Si va dal 6% del Veneto all’8% di Mantova, salendo fino al 15 o al 18% in alcune province, fino ad arrivare al 30% a Siena, storico territorio ‘rosso’.

Interessati dal diktat Dem sono presidenti, direttori generali, amministratori delegati, consiglieri di amministrazione e revisori dei conti. Una “tassa impropria”, la definisce Bechis, che potrebbe sembrare un “ricatto” nei confronti di “professionisti” e che si configura come una “concezione proprietaria dell’ente pubblico”.

Regolamenti in cui viene teorizzata e messa nero su bianco la punizione dei manager ‘infedeli’ con la mancata ricandidatura e, persino, una serie di norme di comportamento che prevedono l’obbligo di tenere una “condotta sobria e decorosa nella vita pubblica e privata”.

Le accuse al Pd del M5S

Accuse che il M5S guidato da Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista non tarda a riassumere con la definizione di “un obolo sembra un ‘pizzo’”, inteso come vera e propria estorsione messa in atto dal Pd contro i manager pubblici, costretti a pagare con soldi pubblici.

Oltre all’accusa di aver creato un “Sistema” (richiamando quello della camorra napoletana ndr), i pentastellati accusano i seguaci di Renzi di aver reso “cosa loro” (riferimento alla mafia siciliana ndr) la cosa pubblica finita nelle loro mani. Una gestione del patrimonio pubblico, proprietà di tutti i cittadini, degna invece di un “clan”. Insomma, un ritorno dalla finestra del finanziamento pubblico al partito”, sospettano i 5 Stelle.