E se non fosse Matteo Renzi il candidato premier della coalizione di Centrosinistra nel 2018? È questa la domanda - provocazione che è circolata nelle ultime ore, con una certa insistenza, nelle segrete stanze del Nazareno. Quella che al momento può apparire soltanto una banale voce di corridoio, in realtà coincide con due fattori da non sottovalutare: la frammentazione dell’area dei progressisti che ha già ripudiato il segretario dei democratici e l’ascesa sorprendente nei sondaggi di marco minniti. Per quanto riguarda il primo snodo non ci sono stati passi in avanti rispetto alla scorsa settimana.

Le elezioni regionali in Sicilia con l’intesa siglata tra Matteo Renzi e Angelino Alfano, d’altronde, ha in qualche modo compromesso ogni tentativo di riconciliazione con i partiti più a Sinistra. Gli scissionisti di Mdp hanno così lanciato il loro guanto di sfida all’ex leader candidando Fava che, seppur lontano dai sogni di gloria, contribuirà ancor di più alla débâcle del Partito Democratico nelle elezioni siciliane. Chi non si è arreso dinanzi all’impossibilità di ricucire lo strappo tra le parti è Giuliano Pisapia ma, fino a oggi, i suoi tentativi sono caduti nel vuoto.

Tutti i fan di Minniti

In netta contrapposizione al trend negativo di esponenti ben più radicati nel panorama politico nazionale, il consenso per Minniti cresce giorno dopo giorno.

L’ex comunista con il suo fare autoritario ha convinto tutti sulla gestione della crisi dei migranti, guadagnandosi il soprannome di sceriffo. Da Forza Italia alla Lega, dal Movimento5Stelle al mondo cattolico, il ministro dell’Interno è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo tutti. Qualche perplessità si è sollevata paradossalmente dalle forze più a Sinistra dell’arco costituzionale e dal suo partito, il PD.

Renzi ha provato a sfruttare la scia favorevole del capo del Viminale ottenendo scarsi risultati. Ben più acceso è stato lo scontro con il titolare delle Infrastrutture, Graziano Delrio. Il faccia a faccia tra l’ex sindaco di Reggio Emilia e Minniti per la gestione delle Ong ribelli è stato di quelli importanti, tanto da far sfiorare la prima vera crisi politica del governo Gentiloni.

Soltanto l’intervento di sostegno di Mattarella per il lavoro di Minniti (tanto significativo quanto inusuale per il Capo dello Stato) sbrogliò una matassa piuttosto complicata. E che dire della benedizione alla sua linea per l'emergenza migratoria di Papa Francesco.

L’uomo nell’ombra

Tutti sponsor importanti, in qualche modo ingombranti, che attendono un riscontro da parte dello stesso Minniti. Il numero uno del Viminale, da par sua, non è convinto che una discesa in campo diretta sia una mossa intelligente da compiere. Abituato a muoversi come un lupo solitario e con le mani sostanzialmente libere, Minniti è rimasto sempre defilato dalle battaglie interne del PD. Per questo una sua candidatura politica diretta per Palazzo Chigi rimane un affare complicato.

Renzi sarebbe pronto a promettergli la luna, d’altronde, piuttosto che ritrovarselo come avversario in campagna elettorale. Attenzione però agli scenari politici post elezioni: se le urne decretassero la stessa situazione di ingovernabilità per l’assenza di un’ampia maggioranza, ecco che l’ipotesi di Minniti premier di tutti (o quasi) sarebbe in cima alle scelte del presidente Mattarella. Un esecutivo di emergenza o di scopo, (non più di larghe intese), che lavorerebbe per consegnare al Paese quelle riforme attese da anni e mai varate. Se Minniti è riuscito nell’impresa di ridurre e normalizzare i flussi migratori, è il parere di molti, perché non consegnargli le chiavi del Palazzo pericolante?!