In una campagna elettorale sostanzialmente piatta il caso di Macerata ha riportato in auge due capitoli accantonati volutamente dai partiti: immigrazione e sicurezza. Con l’eco degli spari contro ignari cittadini di colore del fanatico fascista Luca Traini ancora ben udibili, i leader hanno giocato a nascondino condannando il gesto tardi e molto alla lontana. Una mancanza di coraggio evidente, guidata dalla volontà di non esporsi in una fase molto delicata politicamente parlando. Luigi Di Maio e Matteo Renzi sanno bene che su questi temi la propaganda di Matteo Salvini non ha rivali.
La linea mediatica di quest’ultimo che si concentra in primis sull’avversione allo straniero ha sferzato gli animi di un elettorato deluso e rassegnato. Il germe del razzismo fascista, che non è mai morto nelle viscere di questo Paese, è cresciuto e ora è pronto a diffondersi con conseguenze irreversibili. Basti considerare i numerosi attestati di stima e solidarietà ricevuti da Traini, accolto con una standing ovation dagli altri detenuti nel momento in cui ha fatto il suo ingresso in galera. M5S e PD hanno dimostrato un’impreparazione grave, facendo mancare un punto di riferimento doveroso per chi ha sempre creduto nella superiorità della democrazia e dello Stato di diritto.
Reazioni tardive
Ci sono voluti un paio di giorni prima che Luigi Di Maio decidesse di stroncare l’attentato di Macerata e, nel farlo, ha puntato il dito contro i suoi avversari. “L’immigrazione è una bomba sociale provocata da Berlusconi e il Centrosinistra che hanno firmato il trattato di Dublino” ha affermato preoccupato più dei sondaggi che della gravità degli eventi.
Un atteggiamento che ha sortito un certo malessere nell’universo pentastellato, in primis tra gli esponenti politicamente più inquadrabili rispetto al giovane vecchio Di Maio. Tra questi figura Roberto Fico, simbolo di una Sinistra interna che già in passato ha reclamato (invano) spazio e leadership: “Quello di Macerata non è stato solo razzismo - ha avvertito - è stato terrorismo.
Il silenzio va bene all’inizio ma deve durare poco”. Un decisionismo latitante anche in casa PD con Matteo Renzi pronto a condannare sì il gesto di Traini, ma archiviandolo come un caso di follia isolata. Accese polemiche sono scaturite poi dalla decisione del sindaco dem di Macerata, Romano Carancini, di annullare il corteo antifascista previsto per sabato. Una scelta volta a far calare la tensione che ha irritato anche il ministro Andrea Orlando: “Si dia all’Anpi la possibilità di testimoniare i suoi valori”.
Gli intransigenti
Chi non ha avuto dubbi sin dal primo istante sulla responsabilità morale della Lega è stato Pietro Grasso. Il candidato premier di Libero e Uguali ha censurato la propaganda del Carroccio, che aveva appena archiviato la polemica sul tema della difesa della razza bianca scatenata da Attilio Fontana (candidato governatore in Lombardia ndr).
“Se fomenti tutto ciò - ha spiegato Grasso - prima o poi qualcuno che spara per strada rischi di trovarlo. Non possiamo tollerare attacchi volgari e violenti contro chi difende i principi di solidarietà e tolleranza”. Non si è fatta attendere la replica furiosa di Matteo Salvini che già a caldo ha rispedito al mittente ogni accusa rivendicando, al tempo stesso, la sua battaglia ideologica. Secondo il capo dei leghisti il gesto di Macerata è una diretta conseguenza dell’invasione degli immigrati nel nostro Paese “fuori controllo ma organizzata, voluta e finanziata in questi anni”. Non poteva essere da meno Silvio Berlusconi che, abbondonate le vesti di leader dei moderati per mero calcolo politico, si è accodato alla battaglia dell’alleato-nemico. L’ex Cavaliere ha annunciato il suo piano d’azione una volta al governo: “Saranno rimpatriati 600mila immigrati irregolari perché vivono di espedienti e di reati”.