La politica italiana, ormai in stallo a due mesi dalla proclamazione delle forze politiche vincitrici, naviga ancora a vista. Alla nona settimana in corso senza un Esecutivo monocolore (del tutto impossibile, emersi gli attriti tra i partiti praticamente da subito) e tramontata l'idea di un compromesso, il Capo dello Stato -che, in questo periodo, funge da arbitro/guida per tentare una conciliazione fra i più leader chiamati alla responsabilità di governo- suggerisce una formulazione inedita per il Bel Paese, ma che rievoca alla mente lo spettro dell'expertise di un grigio Governo tecnico, tutt'altro che sconosciuto agli italiani dell'ultimo decennio.
Le tre soluzioni di Mattarella: accordo, voto anticipato o incarico giovedì
Gli scenari indicati dal Presidente ai tre schieramenti nati all'indomani del 4 marzo sono stati così illustrati, nella giornata di ieri, in uno striminzito e categorico appello: se gli schieramenti non saranno disposti ad abbandonare le proprie roccheforti, lo stallo (che perdura da ben nove settimane) potrebbe essere sciolto dallo stesso Consiglio di Stato: il quale concederebbe l'opportunità ai reggenti delle coalizioni di ripresentarsi per un inedito scenario elettorale estivo (entro il 22 luglio, sebbene Salvini e Di Maio abbiano già optato per l'8; data già, peraltro, considerata irricevibile dal Colle); o lo revocherebbe, assumendosi, entro la giornata di giovedì, il compito di allestire una squadra di Governo che traini il Paese fino al mese di dicembre.
Il duplice scopo dichiarato dal Presidente della Repubblica sarebbe quello di fornire una risposta politica a tematiche improrogabili per la tenuta dell'Italia (Moneta unica, IVA, migranti), e permettere ai contendenti di appianare le proprie divergenze e maturare alleanze più stabili, in una prospettiva di governo sempre più remota.
Un nuovo Governo tecnico? Le reazioni dei partiti
Lo scenario -a parole- inedito prospettato dalla prima carica dello Stato diviene più concreto subito dopo il monito finale, perno di tutto il discorso, ormai caratterizzante la passata giornata del 7 maggio: "purché il Parlamento ponga la fiducia". La neutralità "sbandierata" da Mattarella sarebbe, quindi, relativa al solo colore di vessillo politico, ma non nelle intenzioni né nel richiamo alla responsabilità: de facto, verrebbe precostituita una squadra di esperti nelle singole materie di competenza di ogni Ministero, comandati -come da un metaforico "pilota automatico"- di seguire la succitata linea direttiva; scenario analogo alla mai tanto vituperata esperienza montiana, termine di paragone negativo delle ultime campagne elettorali.
Evidentemente, il pesante monito del Capo dello Stato svela un malcelato intento secondario di accelerare l'accordo tra i leader politici: effetto che pare sortito, considerando la febbrile ansia di incontro e la rinnovata verve tra "i nuovi emergenti (i summenzionati Salvini e Di Maio)", decisi ad avvicinarsi reciprocamente, a scapito di Forza Italia e PD, pur di fare finalmente emergere una composizione tra le forze vincitrici di queste elezioni. Senza quest'intesa, le recenti elezioni costituirebbero l'inedito precedente di dare vita a una Legislatura "nata già morta (citazione del CdS)"; oltre a svilire l'esito del voto popolare e riconsegnare l'Italia a un plausibile Esecutivo tecnico.