Dalla politica italiana ci si attende di tutto, soprattutto in termini negativi. L'atteggiamento dell'italiano medio nei confronti dei governanti passati, presenti e futuri, è sempre stato un po' questo. Tra i politici del passato, Giulio Andreotti era quello maggiormente nell'occhio del ciclone ed escludendo la crocefissione di Gesù ed un paio di finali dei Mondiali perse dalla Nazionale italiana, è stato poi accusato di tutto. Matteo Renzi ha una parabola politica piuttosto acerba se paragonato allo storico leader DC, ma in quanto a colpe che gli vengono attribuite dagli italiani rischia di seguirne le orme.

Addirittura è colpevole pure quando le elezioni non le vince. Amara ironia a parte, in Italia si è semplicemente concretizzato ciò che era stato preventivato prima del voto e ad oggi nessun partito o coalizione ha ancora i numeri per governare. Se parliamo delle colpe di Renzi, ci sono certamente nella debacle del Pd, in una politica scriteriata indirizzata sui 'lunghi coltelli' e non sulla ricerca costante di unità di intenti all'interno del partito. Nel suo recentissimo intervento televisivo, gli viene inoltre caricato l'ulteriore fardello di aver fatto franare il possibile accordo di governo tra M5S e PD.

Il pensiero 'renziano' ha la sua logica

Ma alla fine, cosa ha detto l'ex premier che non corrisponde al vero?

Secondo la sua logica "è normale incontrare Di Maio, ma votare la fiducia ad un governo Di Maio non lo è". Così come è innegabile "la diversità di opinioni e di programmi con il M5S": il reddito di cittadinanza, ad esempio, cavallo elettorale pentastellato che secondo il PD "non sta né in cielo, né in terra". In proposito, Renzi ha lanciato una dura stoccata a Di Maio: "il reddito di cittadinanza è una cosa impossibile, lo dicano agli elettori e non usino il PD come alibi".

Non ha tutti i torti nemmeno quando sottolinea che "centrodestra e M5S hanno vinto le elezioni: o sono capaci di mettere in atto ciò che hanno promesso ai cittadini o si torna a votare". L'unica apertura sulla quale è disponibile a trattare riguarda una radicale riforma elettorale. "Un sistema alla francese, con un secondo turno tra le forze politiche che hanno vinto.

Su questo possiamo parlare, sederci al tavolo e fare un governo tutti insieme per approvare le dovute riforme e poi si torna alle urne". Riteniamo che non ci possa essere nulla di contestabile in queste affermazioni, in realtà Renzi ha solo sbagliato la sede per pronunciarle.

Errore di metodo

Il 3 maggio è in programma la direzione nazionale del PD e Matteo Renzi, in fin dei conti, se consideriamo che non è più il segretario, avrebbe fatto meglio ad esprimere la sua posizione (comunque già nota) dinanzi ai colleghi di partito. In questo modo, invece, ha messo seriamente in imbarazzo l'attuale reggente, Maurizio Martina. "Quanto accaduto è grave nel metodo e nel merito - ha detto quest'ultimo - ed in questo modo si rischia l'estinzione del partito oltre che un distacco sempre più netto nei confronti dei cittadini.

Guidare il PD in queste condizioni è impossibile". Il punto di vista di Martina è condiviso da Dario Franceschini. "Renzi oggi è un 'signornò' che smonta soltanto ciò che il partito cerca di costruire. Dovere di un leader è quello di rispettare la sua comunità anche se non è più il leader". Renzi, al contrario, si è difeso definendo "un dovere illustrare le mie convinzioni a chi vota il PD. Se qualcuno nel partito vuole governare con il M5S io lo rispetto, ma non lo condivido ed ho spiegato il perché". Ribadiamo che la questione, piuttosto che in un salotto televisivo, andava discussa in direzione. L'errore di metodo è evidente, il contenuto delle dichiarazioni di Renzi invece è condiviso da molti elettori.

Senza contare che un esecutivo M5S-PD darebbe modo agli oppositori, Matteo Salvini in testa, di definirlo "un governo non rispettoso della volontà popolare". Chi potrebbe dargli torto?

Direzione PD: cosa potrebbe accadere?

I 'lunghi coltelli' a cui avevamo fatto riferimento, pertanto, sono destinati ad essere nuovamente sguainati in direzione il prossimo 3 maggio. Qualche catastrofista ipotizza il pericolo di una nuova scissione: per quanto il centrosinistra sia storicamente tendente a manovre autolesioniste, oggi una mossa drastica in tal senso ne determinerebbe davvero il ricorso alla canna del gas. Riteniamo quindi poco probabile che si arrivi a questo, ma ad ogni modo l'appuntamento di giovedì prossimo decreterà il futuro non solo del partito che ha governato il Paese negli ultimi cinque anni, ma anche del 'secondo forno' di Luigi Di Maio che ha già chiuso per fallimento il primo in cui prevedeva di 'sfornare il pane' con Matteo Salvini.

Alla luce dei numeri espressi a febbraio dell'anno scorso, in occasione dell'ultima assemblea, i renziani dovrebbero costituire ancora la maggioranza e, pertanto, la chiusura nei confronti del M5S sarebbe scontata. Tutto ciò nonostante Martina, l'attuale reggente, sia fuoriuscito nel frattempo dalla corrente dell'ex segretario. Proviamo a dare i numeri: su 214 componenti della direzione, i fedelissimi di Renzi sono oltre un centinaio (103 a conti fatti, ndr) e possono inoltre contare su 4 componenti vicini al presidente Matteo Orfini la cui linea è più o meno quella dell'ex premier. Coloro che potrebbero essere favorevoli al dialogo con Di Maio, definiamoli 'governisti', sono invece 78 tra 'orlandiani', 'franceschiniani', vicini alla corrente che oggi fa capo a Maurizio Martina e componenti del Fronte Democratico (area che ha come punto di riferimento Michele Emiliano).

A queste correnti di pensiero potrebbero unirsi gli esponenti del governo Gentiloni ancora in carica, alcuni dei quali hanno dichiarato di essere 'determinati a dare un contributo a quanto indicato dal Capo dello Stato'. In tal senso, questi esponenti del PD sono 'trasversali': Graziano Delrio, ad esempio, è certamente fedele all'ex segretario, ma potrebbe però propendere all'esaudimento di una richiesta che arriva direttamente dal Presidente della Repubblica.

Se passa la linea di Renzi...

Inutile dire che quanto dichiarato da Matteo Renzi, se fosse il pensiero della maggioranza del PD così come sembra, chiuderebbe le porte all'ultima possibilità di governo rimasta dopo le fallimentari consultazioni del Capo dello Stato.

Riteniamo l'attuale crisi del partito che, a tutti gli effetti, è l'erede della sinistra storica italiana, colpa di una gestione errata da parte dell'ex segretario, più disponibile a 'rottamare' ed a chiudere le porte, piuttosto che a confrontarsi con i compagni di viaggio. Il PD sta già pagando in tal senso e la sconfitta elettorale è la giusta conseguenza. Quando si perde alle urne, però, sarebbe saggio ripartire dagli errori e correggerli lungo il cammino: un governo con il M5S sarebbe oggi un'arma a doppio taglio per il PD che non ha alcun dovere di prendersi una simile responsabilità dopo essere stato bocciato dagli elettori. La linea di Renzi, oggi, è improntata sulla coerenza: se è stato giusto farsi da parte dallo scranno più alto di Palazzo Chigi quando gli italiani hanno detto 'no' alla riforma costituzionale e se è stato altrettanto onesto dimettersi dal timone di un partito che ha perso il treno elettorale, siamo dell'avviso che sia ugualmente doveroso aver rispetto di ciò che gli italiani hanno deciso lo scorso 4 marzo. Matteo Renzi sta già scontando le colpe di una sconfitta ed è giusto che sia così. Ingiusto, al contrario, che gli venga anche chiesto un prezzo per la sua coerenza.