In questi giorni di fibrillazione Politica il ruolo del presidente della Repubblica italiana è stato improvvisamente messo sotto i riflettori di testate giornalistiche ed opinione pubblica.
L'incarico di Conte è saltato
Il tentativo affidato a Conte di formare un governo naufraga dopo appena 4 giorni di mandato: il premier proposto da Di Maio e Salvini per la formazione di un governo ha rimesso l’incarico a Mattarella il 27 maggio; la scelta del capo di Stato di rimandare la formazione del governo è collegata al veto che quest’ultimo ha posto sulla figura di Paolo Savona a Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF), voluto dai leader di Lega e M5S.
Pur senza entrare in merito alla scelta (giusta o sbagliata che sia) di non far partire un governo a causa dell’incompatibilità di uno tra i ministri proposti, è doveroso spiegare innanzitutto chi è Paolo Savona e perché ha causato tale impasse.
L’Italia si trova in una situazione economica piuttosto delicata (in virtù del notevole debito pubblico, alimentato dal crescendo dello spread, e della conseguente preoccupazione degli investitori esteri), in cui il ruolo di Ministro dell’Economia e delle Finanze deve essere tale da non causare un ulteriore incremento del debito, bensì deve essere in grado di tenere testa alle potenze europee riducendo il debito e varando nuove proposte per la spesa pubblica.
Da anni Paolo Savona, con un trascorso lavorativo in Banca d’Italia, ha espresso posizioni critiche nei confronti dell’Europa e della moneta unica, sostenendo più volte la volontà di far uscire l’Italia dall’Euro. È chiaro che la scelta di un ministro dell’economia che metterebbe ulteriormente a rischio la già fragile posizione dell’Italia nello scenario economico Europeo rappresenti un rischio che non può essere intrapreso.
Non essendo stato trovato un nome alternativo a quello di Savona, Conte ha lasciato l’incarico e Mattarella è stato accusato di essere il “traditore” del cosiddetto Governo del cambiamento.
Va ricordato, per evitare incomprensioni o dietrologie, che secondo l’articolo 92 della Costituzione Italiana la nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri è affidata al presidente della Repubblica; il primo ministro stila una lista di ministri che, allo stesso modo, devono essere ufficialmente incaricati dal Presidente della Repubblica.
Mentre il primo ministro propone il suo “staff” al capo di Stato, è compito di quest’ultimo confermare la lista. E' doveroso far notare che nel caso di Giuseppe Conte quest'ultimo non ha stilato alcuna lista di ministri; bensì sono stati i leader dei partiti a fornire le indicazioni sui nominativi da presentare al presidente della Repubblica. Nel suo discorso Mattarella afferma: “è mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri -che mi affida la Costituzione- essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani.
I precedenti casi di "veto"
Anche se la scelta di porre il veto sulla candidatura di un ministro può sembrare un evento eccezionale, più volte nel corso della storia della Repubblica Italiana il capo di Stato si è trovato nella posizione di dover dire di “no”.
Dunque, Mattarella respinge la lista dei ministri, ma diamo uno sguardo ai precedenti storici di questa clamorosa decisione.
Nel 1994 Cesare Previti, sotto il suggerimento del primo ministro Silvio Berlusconi di farlo nominare Ministro di Grazia e Giustizia, non fu autorizzato dal presidente del Consiglio di allora, Oscar Luigi Scalfaro.
Quando la Lega Nord indicò Roberto Maroni come Ministro della Giustizia nel 2001, al suo posto finì un altro leghista, mentre Maroni fu assegnato al Ministero del Lavoro. Tale veto a Maroni arrivò sotto la “supervisione “dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Il caso più emblematico e discusso risale al 2014 in cui, a causa di un vincolo più morale che costituzionale, il magistrato Nicola Gratteri, procuratore di Reggio Calabria, non fu nominato Ministro della Giustizia in seguito ad una telefonata che Giorgio Napolitano fece a Matteo Renzi proprio per “sconsigliare” la nomina di ministro del magistrato.
In questi casi, più o meno rilevanti, in cui la decisione potrebbe essere più o meno condivisibile, non si è mai parlato di impeachment o di alto tradimento; al contrario, vista anche la rarità con cui il capo di Stato si trova ad esercitare funzioni come quella di esprimere veit, la figura del presidente della Repubblica, ha assunto delle caratteristiche che hanno fatto sì che venisse inquadrato come un’istituzione affabile, che raramente potesse prendere decisioni in grado di sconvolgere l’assetto politico vigente. Forse è proprio a causa di tale “etichettamento” che l’opinione pubblica e i partiti di maggioranza si sono scagliati così duramente con Mattarella, rimasti colpiti dall’insolita (ma come abbiamo visto nemmeno così tanto) opposizione di quest’ultimo all’instaurazione di un governo.
Presidente della Repubblica in stato d'accusa
In seguito alla decisione del presidente della Repubblica di destituire il governo, Luigi di Maio ha presentato al Parlamento richiesta di “impeachment”, accusando il capo di Stato di alto tradimento, in quanto, secondo il leader del Movimento, la scelta di bloccare il governo sarebbe stata anticostituzionale. Anche sui social network l’indignazione ha preso il sopravvento: in tanti hanno accusato Mattarella di “attentato alla Repubblica”, etichettando il Presidente della Repubblica come un servo delle potenze internazionali che ha fatto di tutto per non mandare al governo l’esecutivo giallo-verde. In fin dei conti, le cause che hanno portato il proto-esecutivo populista al fallimento sono da ricercare proprio all’interno della leadership dei partiti di Lega e M5S: entrambi infatti hanno fondato la loro legittimità costituzionale su un programma politico che ha fatto rabbrividire i mercati finanziari e la stessa Unione Europea, preoccupata dell’avvento del primo esecutivo espressamente populista italiano (non a caso lo spread, ha superato quota 200 proprio in questi giorni critici); inoltre nel cosiddetto “contratto di governo” non si faceva menzione di come attingere ai fondi che sarebbero serviti per sanare il debito.
Il presidente della Repubblica ha permesso all’Italia di tornare ragionare su quale sia la scelta migliore per un paese in questa situazione (che è ancora una situazione di crisi): Mattarella ha ridato vigore ad una democrazia che stava per assumere dei contorni sempre più sfumati ed incerti (basti pensare alla scelta di Conte, non eletto da nessun cittadino e con scarse competenze in politica); ha permesso ai cittadini di tornare ad avere fiducia nella Costituzione, a patto che venga messa in atto, e ha dato un nuovo vigore alla carica di capo di Stato, impedendo all’Italia di fronteggiare una sfida internazionale di cui non è alla portata.
A questo punto viene da chiedersi se l’impossibilità di costruire un governo fatto di promesse irrealizzabili e obiettivi irraggiungibili derivi solamente dalla scelta del presidente Mattarella di rifiutare le nomine a ministri proposte dei leader di Lega e M5S o se, rendendosi conto dell’effettiva utopia insita nel programma di governo, gli stessi partiti non avessero deciso di “ritentare” al prossimo ciclo elettorale.
Non bisogna dimenticare che la legittimazione politica di questi partiti risiede proprio nella capacità di veicolare temi e policy di interesse generale che, anche se irrealizzabili, permettono comunque di attingere ad un cospicuo bacino di voti. La preoccupazione del momento resta comunque lo spread che arriva a 235 punti. In ogni caso, almeno per il momento, Di Maio e Salvini restano i leader dei partiti di maggioranza che dovranno votare la fiducia in parlamento, qualunque sia la scelta del presidente della Repubblica che per il momento ricade sull'economista Carlo Cottarelli.