Il Consiglio dei ministri, nella tarda serata di ieri, ha dato il via libera al nuovo Documento di economia e finanza (DEF) 2019-2021, presentato dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, con la previsione di una spesa in deficit del 2,4%. Ciò significa che per finanziare la spesa eccedente le entrate fiscali il governo dovrà accendere altri mutui e ciò contribuirà ad incrementare ulteriormente l’indebitamento storico dello Stato italiano.

Chi ha strenuamente combattuto l’eventualità che il documento prevedesse un indebitamento di tale livello è stato proprio il ministro Tria, il quale, fino a ieri pomeriggio, non era assolutamente propenso a superare quota 1,6% di deficit annuo.

Indipendentemente dalle considerazioni della Commissione europea – con la quale lo Stato italiano ha stipulato un accordo in materia (fiscal compact), ratificato dal Parlamento e inserito nella Costituzione – il ragionamento di Tria era quello di vincolare la spesa in deficit all’incremento annuo del PIL.

Poiché nel 2017 tale incremento è stato proprio dell’1,6%, il DEF non avrebbe contribuito a modificare il rapporto deficit PIL (attualmente superiore al 131%). A tale livello, tuttavia, sarebbero mancati circa 8 miliardi l’anno per finanziare una serie di interventi – di cui si dirà nel prosieguo – fortemente voluti dai due vicepresidenti del consiglio, Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Sarebbe stato Mattarella a trovare gli argomenti convincenti per Tria

Le fonti giornalistiche e parlamentari narrano che, nelle giornate di ieri e dell’altro ieri, siano incorse una serie di conversazioni telefoniche tra il ministro Tria e il presidente della Repubblica Mattarella. La mediazione del Quirinale sembra sia stata decisiva per smuovere il responsabile dell’economia dalle sue posizioni.

Stando alle fonti, Mattarella avrebbe fatto appello al senso dello Stato e al giuramento di fedeltà alla Nazione pronunciato dal ministro proprio nelle sue mani; secondo taluni, il presidente della Repubblica non si sarebbe fatto scrupoli – se fosse stato necessario – a diffidare per iscritto il ministro Tria dal presentare le dimissioni, così come, a suo tempo, fece Carlo Azeglio Ciampi nei confronti del ministro degli Esteri Ruggero.

Fatto sta che il Consiglio dei ministri di ieri è stato preceduto da una riunione propedeutica con il presidente del Consiglio Conte, i due vicepresidenti Salvini e Di Maio, Tria e il ministro senza portafoglio Savona, con delega agli Affari europei. Al termine, Tria si è dichiarato disponibile ad accogliere tutte le richieste di incremento della spesa in deficit sino alla soglia voluta dai due vicepresidenti.

I contenuti del documento

Con l’incremento della spesa fissato nel DEF, oltre alla sterilizzazione dell’aumento dell’IVA e all’incremento della spesa per investimenti, già nelle intenzioni di Tria, sarà possibile avviare quanto definito nei punti salienti del “contratto di governo” sottoscritto da Salvini e Di Maio: la riforma della Legge Fornero sull’età pensionabile, l’introduzione di una forma di “flat tax”, il cosiddetto “reddito di cittadinanza” e l’aumento delle pensioni minime.

Per quanto riguarda l’età pensionabile, sarà introdotta la quota minima 100, costituita dalla somma tra l’età del lavoratore e gli anni di contributi versati ma non prima del raggiungimento dei 62 anni di età e con riduzione dell’assegno mensile in base a coefficienti da definire. In ogni caso, gli anni di contribuzione minima, dal 2019, scenderebbero da 43 e 3 mesi (Legge Fornero) a 41 e mezzo. Le pensioni minime saranno integrate a 780 euro mensili.

Più complesso il percorso della flat tax, cioè della riduzione delle imposte. Tutto è rimandato al 2020, quando le aliquote passeranno da cinque a tre, per poi giungere a due, a fine legislatura: il 23% per i redditi fino a 75 mila euro, il 33% per quelli superiori.

Un percorso simile sarà individuato per la corresponsione del reddito di cittadinanza, un assegno per una platea di quattro milioni di inoccupati che si dovranno impegnare a cercare lavoro.

Le misure di copertura per il via libera UE

Tria, probabilmente, ha provveduto ad individuare alcune misure di finanziamento degli interventi alternativi all’indebitamento, come una “rimodulazione” delle aliquote Iva e il taglio di alcuni sgravi fiscali, la riduzione dell’assegno delle pensioni superiori ai 4500 euro netti e il condono fiscale o “pace sociale”.

Quest’ultima misura sarà accessibile a chi ha cartelle esattoriali o un contenzioso con l’amministrazione fiscale per importi inferiori ai 100 mila euro, pagando un’aliquota molto ridotta ma che fornirà, comunque, un’entrata per le casse dello Stato. Tutto ciò, beninteso, se ci sarà il viatico della Commissione europea.