A differenza della biopsia tradizionale, eseguita per accertare o escludere la presenza di un tumore su una lesione, questa nuova tecnica di biopsia liquida, può essere eseguita su soggetti sani che vogliono sapere se sono predisposti ad ammalarsi di qualche forma tumorale o nei casi di familiarità o di esposizione ad agenti cancerogeni come possono essere i fumatori o chi sta tutti i giorni nel traffico cittadino. Attraverso il controllo di 50 geni, questo sistema può identificare ben 2.800 mutazioni favorenti l’insorgenza di un tumore.

Bastano poche gocce di sangue

Quello che si annuncia come una rivoluzione nel campo della diagnosi precoce dei tumori, arriva dalla Bioscience Genomics, uno spin-off dell’Università Tor Vergata di Roma. Basta un semplice prelievo di sangue per fare una mappatura genetica e il monitoraggio delle mutazioni esistenti. Dal confronto dei dati presenti in banca dati, si può arrivare ad una diagnosi precoce per oltre 100 tipi di tumori, anche in soggetti perfettamente sani e in buona salute.

Perché questa tecnica è all’avanguardia e unica al mondo per la diagnostica precoce dei tumori? Perché la SCED, acronimo di Solid Cancer Early Detection, incrocia i dati sul DNA libero circolante (ctDNA) con i dati del DNA germinale, ovvero quel DNA che, a differenza del DNA presente nelle cellule somatiche, se ha delle mutazioni queste possono divenire ereditarie.

A questi due dati su ctDNA e DNA germinale si aggiunge un terzo dato, quello sulle cellule tumorali circolanti (CTC). L’insieme di questi tre dati rende il test assolutamente robusto ed affidabile.

Al momento questa tecnica viene utilizzata solo per monitorare i pazienti oncologici già in terapia, ma la sua potenzialità è enorme e certamente a breve diventerà la tecnica di analisi di elezione in campo oncologico, con il vantaggio che il sangue può essere prelevato ovunque ed inviato in laboratorio senza che il paziente si debba recare personalmente.

Infine, questa tecnica potrà trovare un’utile applicazione nella cosiddetta “terapia personalizzata” ovvero valutare esattamente il profilo genetico tumorale del singolo paziente prima di iniziare una terapia farmacologica (target therapy).

Quali informazioni otteniamo dalla SCED?

Quando arriva in laboratorio, dal campione di sangue viene estratto il DNA circolante e sottoposto a sequenziamento per individuare eventuali mutazioni del genoma.

Questo è possibile grazie ad una tecnica innovativa detta NGS (Next Generation Sequencing). Ma le informazioni che si ottengono non sono di una diagnosi di tumore già presente ma solo di una eventuale predisposizione ad avere un certo tipo di tumore piuttosto che un altro, e questo in base ad una valutazione della stabilità genetica di ogni soggetto.

Esistono infatti tumori che si sviluppano rapidamente ma ce ne sono altri a lento sviluppo, che possono richiedere anche decenni prima di manifestarsi clinicamente. Con la SCED il soggetto sa a cosa è predisposto e quindi, con gli oncologici, programmerà un piano di monitoraggio puntuale in modo che, se una eventuale profilassi dovesse fallire, possa arrivare ad una diagnosi precoce con una elevata probabilità di guarigione.

Ma la SCED non va effettuata solo una volta. La sua non invasività consentirà di ricorrere a questo mezzo diagnostico con una periodicità, in base a quanto indicheranno i medici, perché nulla esclude che nel tempo possano subentrare nuove mutazione e predisporre il soggetto a tumori che l’indagine precedente aveva escluso. Ma anche a tenere sotto controllo le mutazioni già individuate perché, se sono stabili non c’è da preoccuparsi, diversamente rappresentano un campanello di allarme.