Il Festival di Sanremo targato Claudio Baglioni è stato, a tutti gli effetti, uno show di sola musica, con al centro la canzone italiana come unica e vera protagonista. Nulla è stato concesso al di fuori di note e melodiose parole: nessun personaggio sportivo, nessun astronauta, nessuna forma di recitazione extra-canora; solo omaggi agli artisti che hanno fatto la storia della musica italiana. I dati di ascolto dimostrano che gran parte della popolazione ha apprezzato la scelta fatta dal direttore artistico e da tutto il suo entourage.

La musica comunica emozioni al cervello di chi la produce e di chi ne usufruisce, sfruttando tutto ciò che profondamente è radicato nella nostra psiche e che può emergere, sotto forma di ricordi, in immagini, pensieri e grandi riflessioni.

Metterla al centro di un evento così grande non può che essere una scelta più che corretta.

Come cambia il cervello con la musica

Il cervello dei musicisti è costantemente attivo e stimolato in ogni performance canora e/o strumentale. Ogni area è coinvolta durante un concerto, a cominciare dal lobo temporale mediale che permette di immagazzinare informazioni a lungo termine, dato che ogni musicista canta e suona a memoria davanti al suo pubblico.

Per suonare adeguatamente uno strumento, devono essere mosse dita, braccia e a volte anche i piedi: ciò accende aree legate al movimento e alla sensibilità tattile. Il suono, poi, viene elaborato dalla corteccia uditiva primaria. Dal momento che il cervello è plastico e viene incontro ad ogni nostra necessità, possiamo affermare che un costante esercizio musicale tende a modificarlo e a rendere più reattive le aree che hanno a che fare con l'elaborazione dei suoni e delle melodie.

Un gruppo di ricercatori di Heidelberg ha dimostrato che il cervello dei musicisti ha una maggiore quantità di materia grigia nel giro di Heschl, sito nella corteccia uditiva primaria. Prendendo come esempio i violinisti, che utilizzano una sapiente movenza delle mani per suonare, nella loro corteccia motoria vi è un'estesa rappresentazione legata al movimento delle dita.

Dunque è possibile affermare che la musica coinvolge il cervello nella sua interezza: dalla memoria all'apprendimento; dall'attenzione, al movimento, passando per la creatività e le emozioni che riesce a trasmettere.

Musicoterapia: i suoi effetti positivi

La musica viene utilizzata anche nel lavoro psicologico per permettere alla persona che si ha davanti di comunicare, con il suono, ciò che non riesce ad esprimere con le parole: da qui nasce la musicoterapia.

La musicoterapia è vista come stimolazione di ogni senso, e viene utilizzata per attività di sostegno psicologico, prevenzione, riabilitazione, e per permettere all'individuo di ritrovare la propria armonia dal punto di vista interpersonale (le relazioni interpersonali sono quelle che intercorrono tra gli individui) e intrapersonale (capacità di comprendere i propri stati d'animo, le proprie emozioni e motivazioni).

La musica incide molto a livello organico, influenzando la circolazione, l'attività respiratoria, i movimenti intestinali, la concentrazione e la diffusione di endorfine, dalle proprietà analgesiche, nel cervello. Tende a portare benefici anche nei pazienti colpiti da demenza, come quella legata all'Alzheimer.

L'Alzheimer porta una graduale perdita della memoria e dell'orientamento, con successivi disturbi del comportamento, compromissione del linguaggio e della sfera emotiva. Non esiste, ad oggi, terapia farmacologica in grado di contrastare questo lento declino. Occorre stimolare il paziente in modo adeguato, far leva sulle sue capacità residue per cercare di mantenere vivo il suo interesse verso il mondo circostante, e rallentare la perdita di contatto con se stesso e con la vita.

Come descritto anche dal compianto neurologo Oliver Sacks, la musica è in grado di far reagire anche i pazienti dementi più cupi e apatici: ad una canzone nota sorridono e tengono il ritmo, come ad abbracciare quella parte di coscienza che ancora è in loro e che, in questo modo, si cerca di risvegliare (dal libro "Musicofilia", 2007).

La musicoterapia, nel paziente con Alzheimer, viene usata per favorire la socializzazione, accrescere l'autostima, migliorare l'umore e riattivare quella parte di memoria emozionale, al fine di scavare a fondo e recuperare i ricordi del proprio passato. Ma non è tutto: la musica può essere usata anche nei bambini, durante tutto il loro percorso di crescita.

La musica classica aiuterebbe i neonati a superare lo stress del parto, e migliorerebbe il loro apprendimento. In particolare, nei bimbi nati prematuri, l'ascolto di brani dolci regolarizzerebbe il ritmo cardiaco e la respirazione, coadiuvando un sonno più sereno, con meno risvegli.

Nei bambini con autismo, la musicoterapia viene usata per ridurre i movimenti stereotipati e ripetitivi, per regolare l'espressione emotiva e facilitare le interazioni sociali (da uno studio di Filippo Muratori, neuropsichiatra infantile dell'Università di Pisa).

Così come tutte le nobili arti, la musica permette di sciogliere ansie e disagi, sia in una persona perfettamente sana, sia in una persona con un certo tipo di patologia.

Non resta che favorire il suo inserimento in ogni dinamica esistenziale (sociale, familiare, educativa e terapeutica), al fine di permettere ad ogni individuo di ricollegarsi con la propria individualità e di sintonizzarsi con il mondo che lo circonda.