Italia-Nuova Zelanda, gara attesissima che si disputerà sabato pomeriggio alle ore 15 allo stadio Olimpico di Roma. Si tratta dell'ultimo test-match per entrambe le squadre in questa parentesi autunnale, chiaro che i tre volte campioni del mondo sono ultrafavoriti e del resto in 13 sfide ufficiali ci hanno sempre sonoramente sconfitti. C'è davvero molta attesa e saranno in tanti che seguiranno la sfida in diretta tv su DMAX, anche perché veder giocare la Nuova Zelanda suscita sempre entusiasmo.

Magia e tradizione Maori

Tra le peculiarità dei maestri neozelandesi dei rugby, l'Haka è senza dubbio la più conosciuta.

La danza tradizionale dei Maori viene identificata come una dichiarazione di guerra, ma in realtà ha un significato più ampio. Anticamente era un'invocazione al Dio Sole, poi si è evoluta in molteplici segmenti. Può esprimere aggressività, ma non è mai offensiva, può essere portatrice di gioia o dolore e non è raro ammirarla tra i gruppo etnici polinesiani in occasioni di matrimoni o funerali. Richiama innanzitutto lo spirito e l'identità del popolo Maori. Quando viene eseguita dai giocatori della nazionale neozelandese di rugby ha comunque lo scopo di intimorire l'avversario, nel modo in cui si roteano gli occhi, si digrignano i denti, si mostra la lingua e ci si batte con violenza petto ed avambracci.

Per gli All Blacks è dimostrazione di potenza e, tra l'altro, ne esistono diverse versioni. Il Ka Mate è quella più nota, talvolta i giocatori della Nuova Zelanda si esibiscono anche nella versione più cattiva: il Kapa, solitamente usato contro alcune storiche rivali come l'Australia, il Sudafrica o la Francia.

Come rispondere alla sfida

L'Haka è una tradizione, ma sul rettangolo di gioco è fondamentalmente una sfida, per cui si può anche reagire, a patto che si mostri rispetto. Dunque si può anche urlare contro gli avversari come fecero gli irlandesi nel 1989 o avvicinarsi il più possibile come hanno fatto in alcune circostanze i francesi.

Ma ci sono anche rituali di contrasto: squadre come Samoa, Tonga e Figi hanno le loro danze tradizionali e, talvolta, nelle gare contro la Nuova Zelanda le hanno eseguite in contemporanea all'Haka. Ci sono però cose che sarebbe meglio non fare e, purtroppo, hanno visto un paio di volte protagonisti noi italiani. L'episodio che fece letteralmente infuriare gli All Blacks accadde in Coppa del Mondo nel 2007, quelle spalle rivolte all'Haka furono una vera mancanza di rispetto che ci fece andare contro un intero stadio. Sul campo, la Nuova Zelanda ci avrebbe punito duramente.

Roma, parte l'Haka con la banda dei carabinieri in campo

Il primo imbarazzante episodio in tal senso, però, fu allo stadio Flaminio di Roma il 13 novembre del 2004: i protagonisti involontari non furono i giocatori, bensì la banda musicale dei carabinieri.

Quest'ultima, dopo l'inno neozelandese, aveva appena eseguito l'inno di Mameli e, pertanto, gli All Blacks si erano appena schierati al centro del campo per esibirsi nell'Haka. Peccato che, per quasi tutta la durata, il rito Maori sarebbe stato disturbato da una marcetta suonata dalla banda in questione mentre lasciava il campo, cosa che indispettì non poco i giocatori in maglia nera ed imbarazzò la nazionale italiana. Di certo i poveri militari dell'Arma non c'entravano nulla: qualcuno, semplicemente, non li aveva avvisati. E la gaffe venne sottolineata anche dal pubblico romano che fischiò sonoramente l'accadimento, perché ansioso di ammirare l'Haka neozelandese.

Quando Pierre Berbizier tuonò: 'Ignorateli'

Ma quello che avvenne tre anni dopo durante la Coppa del Mondo in Francia fece davvero andare i neozelandesi su tutte le furie. Siamo a Marsiglia, stadio Velodrome, l'8 settembre del 2007. Sulla nazionale che affronta la spedizione iridata non tira una bella aria, il tecnico francese degli azzurri, Pierre Berbizier, affronta il torneo praticamente da dimissionario e serve ben altro spirito per giocare la gara d'esordio, soprattutto se l'avversario si chiama Nuova Zelanda. Solito copione, inni nazionali e poi si parte con l'Haka e qui Berbizier ordina ai suoi giocatori di ignorare gli avversari, voltando le spalle e chiudendosi in cerchio. Molti azzurri non sono d'accordo.

"Berbizier ci disse di non guardare l'Haka - ricorda Martin Castrogiovanni - ma molti di noi cercarono di spiegare che sarebbe stata una mancanza di rispetto. Poi decidemmo di obbedire, voltammo le spalle iniziando a passarci la palla. Quando iniziò la partita, gli All Blacks in pochi minuti ci distrussero un uomo e segnarono cinque mete". La Nuova Zelanda vinse 76-14, il comportamento degli azzurri venne fischiato dall'intero stadio che ci tifò contro per tutta la partita. Un altro episodio che innervosì gli All Blacks accadde nel 2012, allo stadio Olimpico che sarà teatro del prossimo match: lo speaker introdusse l'Haka con una lunga spiegazione in italiano ed in inglese, dando prova di conoscenza della tradizione, ma ritardandone l'effettiva messa in atto.

Ci auguriamo pertanto di non dover assistere ad un altra gaffe: l'Haka non sarà un inno nazionale, ma merita la dovuta considerazione perché sancisce innanzitutto l'orgoglio di un popolo che si identifica in una tradizione plurisecolare. Ci sono diversi modi di rispondere alla sfida e, come detto, si può anche urlare a squarciagola per contrastare l'incredibile onda emotiva degli All Blacks. Ma noi italiani abbiamo fatto proprio ciò che non si deve fare.