Causa l'emergenza pandemia, il Ciclismo, come tutto lo sport, è fermo ai box. E anche il Giro d'Italia edizione 103, originariamente in programma dal 9 al 31 maggio, è stato rinviato a data da destinarsi. Al netto dell’evolversi della situazione sanitaria, una ricollocazione in calendario della Corsa Rosa, al pari delle altre gare cancellate, resta ancora possibile.

Anche se l’eventuale recupero di un evento così imponente come il Giro appare meno semplice rispetto alle corse di un giorno, gli organizzatori di Rcs Sport sono comunque al lavoro per individuare una nuova data; tra le ipotesi emerse la tarda estate, anche in virtù del rinvio al prossimo anno delle Olimpiadi, oppure ottobre.

Negli ultimi giorni è inoltre affiorata anche una nuova opzione, difficilissima per tempi ma molto suggestiva: fare partire il Giro d’Italia il 2 giugno festa della Repubblica. Una data che sarebbe quanto mai simbolica per affermare l’unità di una Nazione che si dovrà rialzare da una situazione terribile, per diversi aspetti simile a quanto avvenuto nel 1946 all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il Giro d’Italia del 1946

Il conflitto bellico era finito da pochi mesi, e il referendum tra monarchia e repubblica ebbe luogo addirittura solo una dozzina di giorni prima di quel 15 giugno 1946 quando da Milano partì la ventinovesima edizione del Giro d'Italia, la prima del dopoguerra, che si disputò in un clima a dir poco incandescente.

Quella Corsa Rosa fu organizzata con gran fatica e pochi mezzi a disposizione, comprese le biciclette. Si svolse in diciassette tappe per un percorso totale di poco superiore a 3.000 chilometri. Il favorito era sempre Fausto Coppi vincitore dell’ultima edizione che si era disputata cinque anni prima, un po’ più avanti con l’età ma ancora il numero uno: tre mesi prima si era imposto alla Milano-Sanremo.

Comprese la Bianchi di Coppi e la Legnano di Bartali, a quella Corsa Rosa parteciparono sette squadre e sei gruppi amatoriali per un totale di soltanto 79 corridori alla partenza.

La Corsa Rosa attraversa un Paese in macerie

Dopo la partenza da Milano il Giro andò a sud fino a Napoli per poi risalare verso il capoluogo lombardo dove terminò il 7 luglio 1946.

Attraversando un paese materialmente e socialmente in macerie, il Giro 1946 transitò per Milano, Torino, Genova, Montecatini, Prato, Bologna, Cesena, Ancona, Chieti, Napoli e poi risalendo Roma, Perugia, Firenze, Rovigo, Trieste, Udine, Auronzo di Cadore, Bassano del Grappa, Trento, Verona e Mantova.

Quel Giro lo vincerà Gino Bartali, per la terza volta, precedendo Coppi di 47". A oltre 15' dal primo, il terzo posto andò a Vito Ortelli del gruppo Benotto.

I tumulti a Pieris nel corso della 12^ tappa (Rovigo-Trieste)

Il Giro 1946 passò dunque anche da Trieste, dove le tensioni della nuova Italia esplosero in tutta la loro drammaticità il 30 giugno, giorno della dodicesima tappa (Rovigo-Trieste) che fu dichiarata conclusa a Pieris con tempi uguali per tutti i concorrenti a causa di una manifestazione che bloccò la corsa.

A Pieris, quel giorno. ci furono tumulti e disordini con lanci di pietre e altri oggetti contundenti, ovviamente non tanto destinati all’indirizzo dei ciclisti ma per chi aveva messo in piedi quella tappa.

Una tappa che con lo sport aveva in realtà poco a che fare, bensì voleva rappresentare un ’italico evento’ nella zona dove la questione dei confini con la Jugoslavia di Tito era ancora in via di definizione: ad organizzare e mettere in pratica l’azione erano stati infatti i sostenitori della ‘Venezia Giulia Jugoslava’.