"La settimana di Federica" è un momento di riflessione intorno al tema della violenza di genere introdotto dalla Fipav Puglia nel 2017, per ricordare la tragica scomparsa, avvenuta a Taranto nel giugno 2016, di Federica De Luca e di suo figlio Andrea, per mano del marito, poi morto suicida. La giovane donna era infatti arbitro di Pallavolo e, da quel momento, anche la Federazione pugliese di tale sport ha voluto ricordarla con un evento a cadenza annuale.

A differenza degli anni passati, nei quali si faceva coincidere il ricordo di Federica con la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne (del 25 novembre), quest'anno la settimana di commemorazioni è iniziata in concomitanza con l'8 marzo, causa i rinvii del campionato per la Covid-19.

A conclusione della settimana, durante le gare giocate tra sabato 13 e domenica 14 marzo, in tutti i campi pugliesi di pallavolo viene osservato un minuto di raccoglimento per tenere alta l'attenzione su un dramma sociale ormai dilagante e lontano da una soluzione concreta.

A tale proposito Blasting News ha intervistato Sara Galiuti, arbitro Fipav e amica di Federica De Luca.

Federica era una persona solare

"Federica era una donna con la D maiuscola. Era sempre presente, sia per rispondere ad una semplice telefonata che in caso di bisogno d'aiuto. Io l'ho vissuta da amica e con immenso onore vivo ancora adesso questo ricordo", a parlare è Sara Galiuti, giovane arbitro Fipav, che racconta la propria amicizia con Federica De Luca dipingendo il quadro di una persona estremamente solare e disponibile.

Galiuti aggiunge: "Quando le chiedevi di prendere un caffè insieme, spesso Federica ti rispondeva negativamente, perché era sempre piena di impegni, ma trovava comunque il modo di organizzarsi per esserti vicina. Il tempo trascorso con lei lo ricordo come uno dei più piacevoli, perché era un tempo spensierato. Federica era una persona felice.

Non a caso, nel mondo della pallavolo, quando si parla di lei, il primo ricordo è legato al suo sorriso, perché non era un sorriso di circostanza o di convenienza, ma un sorriso sincero. Quello che tutti apprezzano ancora oggi è la sua empatia, al di là di quella che poteva essere la sua situazione familiare, che nessuno di noi immaginava tanto pesante.

Quando ci confidava i suoi problemi personali, infatti, Federica lo faceva sempre con la sua leggerezza, non lasciandoci immaginare in nessun modo il tragico epilogo al quale abbiamo assistito inermi".

L'ultimo pensiero di Sara è sulle ultime ore trascorse insieme all'amica prima dei fatti delittuosi: "Il pomeriggio precedente la sua morte, Federica era a casa mia. Accennando all'imminente separazione con il marito, lei spiegava che non avrebbe mai voluto allontanare il figlio dal padre, perché la sua priorità era Andrea. Era una persona forte, capace di prendere la decisione giusta anche quando si presentava come difficile. Anche l'aver temporeggiato nell'avviare le pratiche di divorzio, probabilmente, va inteso come un disegno atto a proteggere il bambino da quelle che sarebbero state le problematiche inerenti alla separazione.

Lei diceva sempre che, a prescindere dalle tensioni familiari, Andrea aveva un papà ed una mamma ed era corretto che conservasse il rapporto con entrambi".

Donne e sport, la situazione oggi

Ampliando il discorso relativo alle violenze di genere, Sara Galiuti si sofferma su come la donna viva oggi il mondo dello sport. La lente d'ingrandimento punta naturalmente sul mondo della pallavolo, che molti definiscono come un'isola felice tra gli sport maggiormente praticati a livello nazionale.

"Concordo a metà con questa visione circa la pallavolo", ammette Galiuti. "Certamente nel nostro mondo c'è più leggerezza rispetto a ciò che si vive nel calcio o in altri sport più esagitati, ma anche nel volley ci sono episodi di discriminazione di genere.

Persino negli insulti c'è un preconcetto legato alle differenze tra uomo e donna: quando si insulta un arbitro uomo lo si offende alludendo all'infedeltà della propria consorte; quando ad essere offesa è una donna lo si fa mettendo in dubbio la sua integrità morale. In poche parole, quella ad essere denigrata è sempre la parte femminile".

Sorride Sara, mentre racconta la sua esperienza sul parquet, ma è una risata un po' amara, che nasconde una lecita polemica nei confronti di un ambiente ancora intriso di diffidenza nei confronti delle donne: "Come arbitro accetto l'insulto, che nella sua gravità è proporzionale all'ignoranza di chi lo pronuncia. In questo non ci vedo sessismo. Quello che non accetto è il pregiudizio nei confronti delle mie capacità in quanto donna.

Cito un esempio su tutti: qualche tempo fa, il presidente di una società ospitante, alla vista mia e della collega designata con me per la gara, ci salutò chiedendosi ironicamente che cosa sarebbe potuto succedere durante la partita, visto che la stessa sarebbe stata diretta da due donne. Per fortuna, episodi come questo sono abbastanza rari e sono perlopiù legati a difficoltà di natura culturale. L'arbitro donna, almeno nel volley, è ormai stato accettato, tanto che già nel settore giovanile ci sono più donne che uomini col fischietto. Negli anni la situazione è cambiata e sono certa che migliorerà ulteriormente. Resta un dato di fatto: una donna arbitro, per essere applaudita a fine gara, deve dimostrarsi impeccabile; i nostri colleghi uomini, invece, hanno più facilità a portare a termine l'incontro, perché partono con un livello di credibilità maggiore che gli consentirà di commettere anche qualche errore. In questo la differenza tra uomo e donna è ancora tantissima".