L'Università di Newcastle, su richiesta del WWF, ha scoperto che ogni settimana ingeriamo una quantità di microplastiche pari a cinque grammi che, figurativamente, corrispondono allo stesso peso di una carta di credito. Secondo gli studiosi australiani, la maggior parte di queste particelle proviene dall'acqua che beviamo, a prescindere se arrivi dalla bottiglia o dal rubinetto.

Gli esperti hanno esaminato e studiato informazioni provenienti da oltre 52 studi portati avanti in precedenza. I dati riportati sono alquanto sconcertanti: ogni settimana, infatti, l'uomo ingerisce cinque grammi di microplastiche che corrispondono a circa 2.000 frammenti che, nel computo totale, consistono in 21 grammi al mese.

La quantità - hanno affermato dall'Università di Newcastle - varia da regione a regione e da Paese a Paese: nell'acqua dell'India e degli Stati Uniti, ad esempio, ce n'è il doppio di quella presente in Indonesia e in Europa.

Questa scoperta va ad aggiungersi alla notizia riportata pochi giorni fa dal WWF, il quale ha denunciato che nel Mediterraneo ogni minuto vengono gettate circa 33mila bottigliette, e che entro il 2050 questo dato, se l'andamento resterà lo stesso, risulterà quadruplicato.

Il problema delle microplastiche non è una novità, ma questa volta vede come destinatario direttamente l'uomo e non gli animali marini o l'Ambiente. Un fenomeno che in breve tempo sta colpendo ogni essere vivente e tutte le forme di vita presenti sulla nostra Terra, dai pesci ai ghiacciai, ed oggi scopriamo che può abbattersi anche sull'umanità.

L'acqua non sarebbe l'unico elemento attraverso il quale vengono ingerite le microplastiche: ad incidere in maniera particolarmente rilevante sarebbero anche i molluschi, la birra e il sale.

Si valutano i rischi della presenza di microplastiche nel nostro organismo

I ricercatori australiani che hanno condotto lo studio ritengono che questi risultati rappresentano un passo davvero importante per capire l'impatto che l'inquinamento della plastica ha ed avrà sugli esseri umani.

A fargli eco il direttore generale del WWF International, Marco Lambertini, il quale ha sottolineato che queste scoperte dovrebbero fungere da campanello di allarme per i governi di tutto il mondo.

Se infatti non è servita a nulla, o a poco, la minaccia rappresentata dalla plastica presente nei nostri mari e l'inquinamento che da essa deriva, se è servito a poco sottolineare come questo materiale costituisca un vero e proprio elemento mortale per alcuni esseri marini, diventa impensabile credere che le istituzioni globali possano rimanere inerti di fronte a questa minaccia per la salute degli esseri umani.

Ancora non si conoscono gli effetti negativi che ne derivano e che causeranno sulla salute umana, e proprio su quest'aspetto gli scienziati stanno già indagando, ma è chiaro quanto questo problema sia urgente e grave, soprattutto se si pensa all'impatto che potrà avere sull'uomo in un periodo a lungo termine. E quando a Marco Lambertini è stato chiesto come pensa possa essere risolto il problema, lui non ha avuto dubbi: c'è un solo modo, affrontare la causa alla radice, cioè eliminare la plastica e il suo diffondersi in natura.

Il problema di questo tipo di inquinamento - di cui negli ultimi anni hanno cominciato ad occuparsi sempre più governi - è divenuto tra le prime battaglie ambientali da risolvere sia in Europa che in Paesi come il Canada.

Ad oggi, infatti, sono decine gli Stati che stanno intervenendo per bandire la produzione e l'utilizzo delle plastiche monouso.

Anche in Italia il ministro dell'Ambiente Sergio Costa ha iniziato ad occuparsene: il 2 luglio dell'anno scorso, ad esempio, ha lanciato la "Plastic free challenge", invitando tutti gli enti pubblici, ma anche privati, a cominciare a mettere da parte la plastica. A seguito di questa iniziativa hanno iniziato a legiferare in questa direzione anche alcune Regioni come la Toscana, e Comuni quali Roma e Firenze.