Uno dei fatti di cronaca più tragici ed avvolti nel mistero rischia di restare senza soluzione. Di fatto, per la Procura di Roma è un caso chiuso. I magistrati hanno chiesto l'archiviazione dell'inchiesta sulla morte di ilaria alpi e Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia. A decidere sulla richiesta sarà ovviamente il giudice per le indagini preliminari, ad ogni modo la Procura ha alzato le braccia in segno di resa. Impossibile, pertanto, risalire al movente ed agli autori del duplice delitto in cui hanno trovato la morte la cronista ed il suo operatore.

Presunti depistaggi e domande senza risposta

La richiesta di archiviazione è stata sottoscritta dal pubblico ministero Elisabetta Ceniccola. Il magistrato aveva assunto la titolarità del caso nel 2007, dopo che il gip Emanuele Cersosimo aveva respinto una prima richiesta di archiviazione disponendo nuovi accertamenti. Tra le motivazioni che spingono oggi all'archiviazione c'è ovviamente la difficoltà, se non l'impossibilità di attivare indagini in Somalia. Pertanto non si può in nessun modo accertare i movente e, conseguentemente, risalire agli autori del duplice omicidio. Oltretutto il somalo Hashi Omar Hassan, condannato all'ergastolo nel 2000 con pena poi ridotta a 26 anni nel 2002, è stato assolto al termine del processo di revisione celebrato lo scorso anno per lo stesso motivo: non ci sono assolutamente prove a suo carico.

Nel provvedimento firmato dal pm Ceniccola, di circa 80 pagine, si fa riferimento ai presunti depistaggi la cui inchiesta era scaturita proprio dalla sentenza di assoluzione di Hassan da parte della corte d'appello di Perugia. Si punta il dito, in particolare, sulla gestione del testimone chiave che a suo tempo aveva portato alla condanna di Hassan.

'Gli italiani? Volevano subito chiudere il caso'

Il testimone del primo processo era il cosiddetto 'Jelle', il cui vero nome è Ahmed Alì Rage, anche lui cittadino somalo come Hassan. Fu lui ad accusare il presunto killer poi assolto. Successivamente Jelle fece perdere le sue tracce, per poi essere rintracciato nel Regno Unito dalla trasmissione 'Chi l'ha visto'.

Intervistato dall'inviata Federica Sciarelli, Jelle raccontò di aver dichiarato il faso e di avere accusato Hassan solo perché "gli italiani avevano fretta di chiudere il caso". In realtà lui non si sarebbe mai trovato sul luogo in cui vennero uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. In cambio della sua falsa testimonianza, questo in base alla sua ricostruzione dei fatti, gli venne promesso rifugio all'estero lontano dalla Somalia. Dai successivi accertamenti della Procura di Roma, in cui sono stati ascoltati tutti coloro che gestirono la testimonianza di Jelle, non sono stati raccolti elementi che possano far pensare ad eventuali depistaggi.

Verini: 'Grande amarezza'

In merito alla richiesta della Procura di Roma è intervenuto anche Walter Verini, capogruppo del PD in Commissione giustizia alla Camera dei deputati.

"C'è grande amarezza, perché dopo la sentenza di Perugia che aveva assolto Hassan, c'erano tutte le condizioni per dare nuovo sfogo ad ulteriori indagini e trovare le prove che potessero condurre alla verità. Tutti la conosciamo, Ilaria e Miran furono uccisi perché con le loro inchieste avevano scoperto la responsabilità di faccendieri, affaristi e pezzi deviati dello Stato, invischiati in traffici di rifiuti ed armi all'ombra della cooperazione internazionale. Siamo sconcertati - conclude - anche perché la sentenza di Perugia ha assoluto l'unico imputato ed ha confermato gli evidenti depistaggi che hanno caratterizzato questa storia".