Silvio berlusconi e Marcello Dell’Utri sarebbero nuovamente indagati per le stragi di mafia (?) del biennio 1992-1993. La notizia è apparsa questa mattina su due quotidiani: Repubblica e Corriere della Sera. A chiedere la riapertura di un fascicolo, sul quale si era già indagato per ben due volte in passato, è stata la procura di Firenze dopo aver ricevuto dai colleghi di Palermo le bobine con le intercettazioni ambientali dei colloqui effettuati nel carcere di Ascoli Piceno dal boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano con il camorrista Umberto Adinolfi.
Titolare dell’inchiesta è il procuratore fiorentino Giuseppe Creazzo, il quale, dopo aver ottenuto l’autorizzazione da parte del Gip, come nelle precedenti occasioni, ha deciso disporre accertamenti contro i due fondatori di Forza Italia, anche se i loro nomi al momento risultano secretati.
Il ruolo di Berlusconi e Dell’Utri nel biennio stragista
La tesi vagliata a più riprese da ben tre procure (Palermo, Caltanissetta e Firenze) è che Silvio Berlusconi e il suo plenipotenziario in Sicilia, Marcello Dell’Utri (attualmente detenuto perché condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa) abbiano avuto un ruolo attivo nel predisporre - per poi beneficiarne degli effetti politici con la fondazione di Forza Italia e le elezioni del 1994 - le stragi di mafia di Capaci (23 maggio 1992, dove morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e 3 agenti di scorta), di Via d’Amelio a Palermo (19 luglio 1992, morte di Paolo borsellino e 5 membri della sua scorta) e quelle del 1993 in tutta Italia (26 maggio via dei Georgofili a Firenze, 26 luglio San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma, sempre il 26 luglio via Palestro a Milano).
Le precedenti inchieste per mafia
Ipotesi accusatorie che non sono mai giunte a conclusione, visto che le precedenti inchieste, la prima risalente alla seconda metà degli anni ’90 e la seconda del 2008, si erano chiuse con un nulla di fatto, nonostante le dichiarazioni compromettenti rilasciate da alcuni pentiti di mafia come Salvatore Cancemi e Gaspare Spatuzza (quest’ultimo dichiarato più volte attendibile dagli inquirenti).
Le rivelazioni ‘involontarie’ di Giuseppe Graviano
A cambiare ancora una volta le carte in tavola di uno dei tanti misteri italiani irrisolti, ovvero chi siano stati i mandanti occulti del biennio stragista, sono state le intercettazioni ambientali effettuale nel carcere di Ascoli Piceno nell’aprile del 2016 nell’ambito dell’inchiesta palermitana sulla trattativa Stato-mafia.
Il contenuto del colloquio del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano col compagno di ora d’aria Umberto Adinolfi, ritenuto credibile e genuino dagli inquirenti, mette nuovamente nei guai il leader di Forza Italia. “Nel novantadue già voleva scendere…e voleva tutto”, e poi, ”Berlusca...mi ha chiesto questa cortesia...mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa”. Queste alcune delle considerazioni dal sen fuggite del maggiore dei due fratelli Graviano. E ancora: “Nel ‘94 lui si è ubriacato perché lui dice ‘ma io non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’...pigliò le distanze e fatto il traditore”. In quell’anno arriva anche l’arresto del boss, avvenuto a Roma, ma lui non ci sta e sussurra tutta la sua rabbia nei confronti del patto tradito: “Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi.
Per cosa? Per i soldi, perché ti rimangono i soldi”. Graviano però, da buon mafioso vecchio stampo, nel corso della sua recente audizione al processo di Palermo, è tornato ad essere muto come un pesce, decidendo di avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma questo non è bastato ad evitare la riapertura dell’inchiesta sui ‘compari’ Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.