La Corea del Nord una potenza nucleare? Non sappiamo ancora se sia in grado di armare i suoi missili ed assicurarne la piena capacità distruttiva, ma alla fine poco conta. Essere una potenza nucleare non equivale a distruggere il mondo, ma a lasciar intendere di poterlo fare. Le immagini apocalittiche di Hiroshima e Nagasaki, le uniche due bombe atomiche sganciate in azioni di guerra dagli americani nel 1945, hanno in realtà fatto da deterrente a qualunque altro conflitto su scala globale e la Terza Guerra Mondiale, tre parole che tanti soloni catastrofisti pronunciano oggi con estrema facilità, non è scoppiata in oltre settant'anni soltanto per la paura di una distruzione di massa che avrebbe colpito tutti, senza vincitori né vinti.
Una potenza nucleare è un Paese 'intoccabile', proprio per le conseguenze imprevedibili di una guerra che porterebbe all'uso delle armi più potenti. Kim Jong-un sarà un 'cagnolino malato' ed un 'rocket man', come dice Donald Trump, ma ha attuato una strategia temeraria che, in un colpo solo, lo ha portato all'attenzione della comunità internazionale e gli ha permesso di mettere in scacco l'intero occidente.
La strategia del pazzo
Kim Jong-un teme la guerra come qualunque altro uomo sano di mente, ma la famosa 'strategia del pazzo' tanto cara all'ex presidente americano Richard Nixon lo rende forte. Le armi atomiche sono un ingrendiente necessario a supporto di questa teoria: il 'pazzo' deve avere a disposizione sistemi bellici devastanti ed incontrollabili per esercitare in pieno la sua influenza e deve dare l'idea di essere pronto ad usarli.
In tal modo, riesce ad essere credibile ed alla fine la politica internazionale si riduce esclusivamente ad una questione di credibilità, tanto per citare l'illustre parere di Noam Chomsky. In realtà il regime nordcoreano teme la guerra, perché ne decreterebbe la distruzione, ma non è il solo ad averne paura: gli Stati Uniti temono la guerra perché le conseguenze sarebbero catastrofiche, in particolare per due preziosi partner economici come Corea del Sud e Giappone che ne uscirebbero devastati, oltre ad avere forti timori relativi alla capacità nordcoreana di colpire il territorio americano.
Cina e Russia temono la guerra perché se la ritroverebbero alle porte di casa e la fine del regime nordcoreano toglierebbe di mezzo l'unico ostacolo che impedisce, di fatto, la piena influenza statunitense sulla regione. Motivo per cui nessuno la scatenerà.
Presidenti e dittatori
L'errore più comune in cui incorre l'opinione pubblica è quello di ingigantire a dismisura i poteri del presidente degli Stati Uniti.
Secondo molti è una specie di 'superman della politica', in realtà è una figura di grande prestigio che risponde però all'establishment di Washington. Quest'ultimo non è una figura astratta come quella evocata dai complottisti: è l'insieme di gruppi economici e gerarchie militari sulle quali poggia la prima potenza economica e militare del pianeta. Donald Trump è un presidente atipico e, in fin dei conti, è lo specchio fedele di una società che vive di forti, ma vuoti proclami affidati ai social network. Per il resto si dimostra coerente con decenni di politica estera invasiva ed invadente, scandita da pesanti sanzioni economiche e guerre preventive contro quei Paesi definiti 'canaglia' solo perché si sono rifiutati di seguire le linee dettate da Washington.
La Corea del Nord è sempre stata una spina nel fianco, non è mai stato possibile colpirla direttamente a causa della vicinanza politica con la Cina. Si è cercato pertanto di isolarla: dopo la morte di Mao e l'evoluzione del comunismo in Cina, il piccolo Stato comunista è stato inserito in una lista di nazioni fautrici di terrorismo internazionale. Poi si è cercato di creare un accordo per la denuclearizzazione della penisola, ma spesso e volentieri queste intese franano praticamente sul nascere. Ad ogni modo, dopo la morte di Kim Jong-il e l'avvento al potere del figlio, Kim Jong-un, è cambiata soprattutto la strategia nordcoreana. Quella attuale è più incisiva, sia in politica interna che in quella estera, caratteristica che certamente lo avvicina parecchio al potente nonno, il 'presidente' eterno Kim Il-sung.
Il 'grande bluff'
Kim Jong-un è probabilmente riuscito a realizzare il sogno di Kim Il-sung, quello di trasformare la Corea del Nord in una potenza nucleare di cui oggi la comunità internazionale deve tener conto. L'intensificazione dei test missilistici non va vista come la volontà di provocare gli Stati Uniti e spingerli sul piede di guerra, bensì come una continua sperimentazione di vettori balistici per comprenderne difetti e funzionalità. La strategia del 'pazzo provocatore' è però quella che il mondo deve vedere, proprio per rendersi conto dei progressi bellici di Pyongyang e guardarli con crescente timore. Con l'ultimo lancio, Kim Jong-un ha lasciato il mondo a bocca aperta: nessuno se lo aspettava dopo oltre due mesi e determinati organi di presunta informazione, in realtà megafoni politici tendenti a destra e di ispirazione confusamente populista, celebravano già da giorni la vittoria politica di Trump.
Ma Kim non si mai curato delle 'armade' che circondano la penisola coreana. Al contrario, le ha sfruttate inculcando nelle menti del suo ben ammaestrato popolo il pericolo imminente di un'invasione ed esprimendo alla comunità internazionale i suoi timori che giustificherebbero gli sforzi nel potenziamento bellico. Il 'grande bluff' è stato servito: poche carte, ma ben giocate contro avversari che hanno carte migliori, ma temono i possibili assi della manica del giovane dittatore asiatico del quale, alla fine, sanno poco o nulla.
Le 'caste' e la politica orwelliana
L'opinione pubblica occidentale però continua a dipingere abilmente i lati 'terribili' del regime: esecuzioni di massa, torture ed abusi, diserzioni, fame e carestie.
La realtà sarebbe piuttosto diversa: il PIL nordcoreano con il governo di Kim Jong-un sarebbe salito dall'1 % al 4 %, come conferma il professor Antonio Fiori, docente di politica ed istituzioni della Corea all'Università di Bologna. Se questo fattore abbia o meno portato benefici alla popolazione non lo sappiamo, probabilmente i privilegi di tale crescita appartengono solo alla cosidetta 'casta di cittadini meritevoli', quelli che vivono nella capitale. Perché il comunismo con caratteristiche nordcoreane, il cosiddetto 'Songbun', non è affatto un sistema senza classi sociali e, anzi, finisce per accentuarne le differenze essendo basato sull'estrazione politica, sociale ed economica degli antenati e dei parenti prossimi di ciascun individuo: dunque, i meriti di ciascun cittadino sono a totale discrezione del regime.
Nonostante questo, la propaganda di Kim è abile: il dittatore compare spesso in pubblico e sempre più spesso è accompagnato dalla consorte, Ri Sol-ju, elemento che accentua l'importanza della famiglia. Ha dato grande rilievo al ruolo femminile nella società nordcoreana, assegnando ad alcune donne di fiducia incarichi importanti di governo. In ultimo, ha trovato anche una buona scusa per parlare a quella parte di popolazione che vive in condizioni disagiate, giustificando un benessere che non c'è stato con il bisogno di investire i fondi statali per migliorare le difese militari del Paese, dunque alla fine viene visto come un eroe del popolo. "La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza", lo aveva scritto George Orwell nel suo celebre '1984'. La politica interna di Kim Jong-un è la dimostrazione pratica del 'Socing' dello stato immaginario di Oceania.