Ancora una volta, l'America diventa il palcoscenico di una terribile tragedia. Non si tratta di un altro "school shooting", ma quanto è accaduto nel Mississippi è altrettanto scioccante. Il dramma, questa volta, si è consumato tra le mura domestiche. Un bambino di appena nove anni ha impugnato la pistola e ha sparato alla sorella di tredici. Inutili sono stati i tentativi dei medici di salvarla: la ragazza non ce l'ha fatta, i danni riportati alla testa erano troppo gravi. Il fratellino, infatti, l'ha colpita dritta alla nuca, attaccandola alle spalle.

Una tragedia familiare che lascia il segno, una tragedia per cui nessuna spiegazione è sufficiente. Il movente del piccolo? La sorella non lo lasciava giocare ad un videogame.

L'accaduto

Quella che sembrava essere una normale lite tra fratelli, si è trasformata in un episodio di Cronaca Nera. Un quadro familiare come un altro: una sorella maggiore che fa la prepotente con il più piccolo, mentre la mamma dà da mangiare all'altro figlio in cucina. La donna, probabilmente, ha sentito i due litigare e ha pensato che si trattasse del solito battibecco. Questa volta, però, il fratellino invece di andare a lamentarsi dalla madre, ha preferito optare per un'altra soluzione, più drastica e definitiva: la pistola.

Certamente, vista la giovane età, il bambino non era pienamente consapevole della gravità del suo gesto: voleva solo che la sorella lo lasciasse giocare, non la voleva uccidere davvero. Almeno così ha riportato lo sceriffo.

L'indagine è ancora aperta, molti sono gli aspetti da chiarire, primo fra tutti la facilità con cui il piccolo è entrato in possesso dell'arma.

Che in America tutti siano liberi di possedere una pistola dentro casa è più che assodato, ma una madre con dei figli piccoli o adolescenti, immaturi e impulsivi come richiesto dalla loro età, dovrebbe tenere l'arma in un posto nascosto o, almeno, non a portata di mano.

Invece, nella casa della contea di Monroe, pare che l'arma venisse conservata nel cassetto del comodino vicino al letto.

Non può stupire, allora, la facilità con cui il bambino di nove anni ne sia entrato in possesso. Ma è da chiarire il motivo per cui già sapesse esattamente dove prenderla e, soprattutto, perché l’ha presa.

Un allarme per le famiglie

La famiglia coinvolta in quest'orribile vicenda non è né la prima né l'ultima a tenere un'arma da fuoco dentro casa. Fatti di questo genere, quindi, dovrebbero far riflettere. Se si vuole tenere una pistola nel proprio appartamento, bisogna fare attenzione. Tenerla in un cassetto, alla facile portata di un bambino di appena nove anni, non è certamente una scelta saggia. I bimbi e gli adolescenti sono irrequieti, amano il rischio e sono attratti per la maggior parte dei casi dalla violenza.

Infine sono imprevedibili. Un'imprevedibilità che, questa volta, è costata la vita ad una ragazza tredicenne.

Da una pistola incustodita, infatti, è facile che nascano incidenti che, in casi come questi, diventano vere e proprie tragedie. Quanto accaduto in questo fine settimana in USA, allora, dovrebbe servire da monito per le altre famiglie americane. Se si hanno dei figli dentro casa, sono due le opzioni: non possedere una pistola, o custodirla con attenzione, possibilmente sotto chiave e in un posto di cui i figli non sono a conoscenza.

Di chi è la colpa?

La polizia, di fronte ad un episodio del genere, non sa come muoversi. Lo sceriffo ha dichiarato di non essersi mai occupato di un omicidio che avesse come responsabile un bambino così piccolo.

Si ha difficoltà anche nello scegliere i capi d'accusa. Lo sceriffo, infatti, ritiene l'infante inconsapevole del suo gesto, tanto da non sapere se effettivamente verrà accusato di omicidio. Allora, come accade frequentemente in casi come questo, la colpa ricade su qualcos'altro, su un fattore esterno. Il funzionario della polizia addita come responsabile di un gesto tanto efferato quanto assurdo i videogiochi. Ma non è la realtà immaginaria in cui spesso si rintanano i bambini ed i ragazzi la vera responsabile di un tale comportamento. Chiunque giochi ad un videogame, infatti, è più che consapevole che, se si spara ad una persona, questa muore. Dunque, se lo sceriffo ritiene che la spiegazione del gesto del bambino di 9 anni sia legata all'emulazione di un videogioco, la sua teoria sull'inconsapevolezza del piccolo vacilla.

Additare come responsabili di comportamenti simili i giochi violenti - come ha fatto anche Trump recentemente - non è che un modo per distogliere l'attenzione dalla vera rea: la realtà americana. Il bambino di Monroe ha impugnato una pistola perché le notizie in televisione non riportano altro. E i protagonisti dei fatti di cronaca non sono solo adulti, amanti gelosi o serial killer, ma anche ragazzi di undici e quindici anni.

Pochi giorni fa, il 14 marzo, c'è stata una manifestazione contro la libera detenzione delle armi, organizzata in seguito alla Sparatoria al liceo di Stoneman. Ne seguirà un'altra ad aprile. Quanti altri ragazzi dovranno perdere ancora la vita prima che si faccia davvero qualcosa?

Basta dire che questi bambini sono violenti perché imitano i videogiochi o la televisione. Questi bimbi, in realtà, sono violenti perché glielo insegna la realtà in cui vivono.

In Italia, dove un piccolo di 9 anni non potrebbe mai avere accesso ad una pistola, un litigio del genere sarebbe finito con una goffa zuffa tra fratelli e una strillata da parte della madre, forse anche una punizione, ma di certo non sarebbe morto nessuno per un controller di un videogioco.