Quel maledetto 17 giugno 2014 Rosita ha deciso di farla finita. Nonostante i tanti sogni per il futuro, le amiche, il viaggio di studio in Cina che aveva progettato. E così sale sul tetto della sua scuola, il Liceo classico Morgagni di Forlì, per lasciarsi cadere nel vuoto da 15 metri di altezza. Ma prima di compiere quel gesto estremo la ragazza vuole spiegarne il senso, in una lettera scritta su otto fogli di quaderno, mentre sull’autobus si avvia verso la sede dell’istituto. Inoltre ripete le stesse pesanti accuse in un lungo messaggio vocale registrato sul telefonino, fino a quando le batterie non si esauriscono: “I miei genitori mi hanno reso la vita impossibile, spero che ci sia giustizia per questa mia morte, che i carabinieri facciano un’indagine su quello che è successo”.

Il furto del telefonino

L’indagine c’è stata ed ora il padre e la madre di Rosita rischiano il carcere: alla base delle accuse degli inquirenti ci sono le privazioni, le umiliazioni e il poco affetto della famiglia, che avrebbero acuito il disagio della ragazza. Una lunga serie di vessazioni e maltrattamenti psicologici, che avrebbero portato la giovane ad isolarsi dalle coetanee. Un episodio in particolare avrebbe scatenato la tragedia: due giorni prima del suicidio, i genitori vengono a sapere che Rosita ha rubato da tempo il cellulare del padre, per poter comunicare con le amiche attraverso Whatsapp. La scoperta manda su tutte le furie la coppia: negli ultimi messaggi che può inviare, la ragazza parla di un lungo “interrogatorio poliziesco, dalle nove di sera alle due di notte”, delle minacce di denunciarla, di mandarla in una casa-famiglia, di proibirle il tanto atteso viaggio in Cina.

I genitori a processo

Ormai la 16enne ha già in mente di suicidarsi: in precedenza lo ha comunicato ai genitori, ma il padre – non credendole – l’ha perfino sfidata a compiere quel gesto. Le amiche cercano di dissuaderla, inviandole messaggi commoventi, carichi di affetto, ma ormai la decisione è presa. Le parole della giovane ai genitori, lette in aula durante il processo, sono scioccanti: li incolpa di non averla amata, di averla ignorata, di non essere mai riusciti ad instaurare un dialogo con lei.

La madre si dispera, dichiara più volte che tornerebbe indietro e parlerebbe con lei, si chiarirebbe guardandola negli occhi. È accusata di maltrattamenti, il sostituto procuratore di Forlì Sara Posa ha chiesto per lei due anni e mezzo di carcere; invece per il padre la richiesta è di sei anni, perché si considera anche l’accusa di istigazione al suicidio. Ma la pena più grossa l’hanno sicuramente già pagata entrambi quel giorno in cui Rosita ha lanciato il suo disperato ultimo grido d’aiuto.