Dopo 32 anni l’assassino di Michella Welch ha finalmente un nome. Grazie all’evoluzione della tecnologia ed al diffondersi delle banche dati online, quello che sembrava un “cold case” destinato a rimanere irrisolto per sempre ha trovato una soluzione. Gary Hartman, un infermiere di 68 anni, è stato arrestato lo scorso 22 giugno mentre era in strada, fermo al semaforo con la sua auto.
Una persona irreprensibile, che non ha mai avuto problemi con la giustizia e che difficilmente sarebbe rientrato nella sfera dei sospettati di quell’atroce delitto, avvenuto il 26 marzo 1986 a Tacoma, nello stato di Washington sulla costa occidentale degli Stati Uniti, quando una bambina di soli 12 anni, scomparsa poche ore prima, fu ritrovata priva di vita davanti ai resti di un falò.
La scomparsa della bambina al parco
Si è trattato di uno degli omicidi più brutali avvenuti nella zona: quel giorno di 32 anni fa Michella era nel Puget Park, una vasta area verde a nord della città, insieme alle sorelline più piccole, a cui doveva badare. Verso le 11 la ragazzina tornò a casa in bicicletta per prendere la merenda, ma al suo ritorno non trovò le sorelle, che erano corse in un negozio nei dintorni per andare in bagno. Venne vista mentre le cercava tra i cespugli e lungo i sentieri del parco, ma alla fine fu lei a sparire nel nulla. Infatti, quando le due piccole ritornarono, trovarono solo la bici e le merende portate da Michella. A quel punto scatta l’allarme: incominciano le ricerche della bimba.
C’era anche un testimone che disse di averla vista parlare con un uomo, ma l’identikit fu poco preciso e fece pensare a un vagabondo: età tra i 25 ed i 35 anni, baffi, jeans logori e bucati, scarpe rotte.
Le tracce dell’assassino sulla scena del delitto
Qualche ora più tardi i cani fiutarono una traccia ed arrivano al corpo della bambina, ormai morta e con addosso i segni di una violenza carnale.
Una storia scioccante, che ha trovato finalmente una soluzione solo grazie alla diligenza degli investigatori dell’epoca che, scoperta una traccia organica dell’assassino sulla scena del crimine, decisero di conservarla con la massima cura. All’epoca non si disponeva delle tecnologie necessarie per esaminare quel reperto, ma vent’anni dopo, nel 2006, è stato possibile procedere ad un’analisi del Dna.
Purtroppo il confronto incrociato con i dati degli archivi dei pregiudicati non ha portato a nulla: nessuno di coloro che sono stati arrestati o sono finiti in prigione, anche per altri reati, aveva un Dna compatibile con quello dell’assassino. Dovranno passare altri 12 anni perché le indagini compiano un nuovo importante passo in avanti, grazie alle banche dati online che si stanno sviluppando in un Paese relativamente giovane come gli Stati Uniti: infatti esistono diversi siti di genealogia a cui gli americani si rivolgono per conoscere i loro antenati attraverso un kit per l’esame del Dna, che arriva direttamente a casa. Improvvisamente gli inquirenti trovano, in una di queste pagine web, un riscontro importante: conduce ai due fratelli Hartman che vivono nello stato di Washington a pochi passi dal luogo della tragedia.
Iniziano i pedinamenti. A questo punto serve un campione del Dna dei sospettati: nel caso di Gary Hartman lo riescono a prelevare agli inizi di giugno da un tovagliolo di carta, utilizzato nel ristorante in cui ha appena fatto colazione. I test confermano: le tracce trovate sui poveri resti di Michella sono le sue. A quel punto il sospettato dell’atroce delitto ha finalmente un nome ed un volto.