È uscito dal carcere di Busto Arsizio nella tarda serata di mercoledì, portando con sé un sacchetto pieno di libri. Stefano Binda, dopo tre anni e mezzo di detenzione, torna ad essere un uomo libero.

Infatti il verdetto della Corte d'Assise d'appello di Milano ha ribaltato la condanna all’ergastolo, arrivata in primo grado per l’omicidio di Lidia Macchi. Secondo i giudici non è stato lui ad ammazzare con 29 coltellate la ragazza ventenne nel gennaio del 1987 in un bosco a Cittiglio, in provincia di Varese. Un caso che era rimasto a lungo irrisolto e che era stato riaperto dopo quasi tre decenni, in seguito ad una perizia calligrafica sulla lettera anonima arrivata alla famiglia della vittima poco dopo il delitto.

Così, nel corso di un processo breve, ma ricco di colpi di scena, la tesi dell’accusa è stata smontata: quell’omicidio di 32 anni fa torna ad essere un cold case irrisolto.

Stefano Binda ha sempre sostenuto di non aver ucciso Lidia

Poche ore prima dell’assoluzione, l’imputato, ormai 51enne, ha rilasciato una dichiarazione spontanea in cui ha ripetuto la propria innocenza. La sera dell’assassinio era in Piemonte, a Pragelato: solo al suo ritorno a casa aveva saputo della scomparsa della ragazza. Inoltre ha ribadito di non essere l’autore della lettera che conteneva la poesia “In morte di un’amica”, recapitata il giorno del funerale della giovane, usata come prova contro di lui. I giudici hanno creduto a questa versione; del resto gli avvocati della difesa, Patrizia Esposito e Sergio Martelli, hanno fatto notare come mancasse un movente preciso per il delitto e come il loro assistito fosse una persona tranquilla, con solo qualche problema di tossicodipendenza vissuto in passato.

Di diverso parere il procuratore generale Gemma Gualdi che aveva chiesto la conferma della condanna emessa in primo grado, al termine del processo presso la Corte d’Assise di Varese.

La festa a Brebbio e la delusione dei parenti della vittima

Alla lettura della sentenza Binda è andato via senza dire nulla: non ha parlato nemmeno all’uscita dal carcere, dove ad attenderlo c’era la sorella Patrizia insieme agli amici dell’associazione culturale “Magre Sponde”, da sempre innocentisti, tanto da aver realizzato in passato una raccolta fondi per sostenere le spese legali dell’imputato.

Se nella villetta di Brebbia la mamma ed il nipote del 51enne hanno preparato uno striscione con su scritto “Ben tornato Stefano” per festeggiare la fine di un incubo durato quattro anni, un’altra famiglia sta vivendo con grande delusione la decisione dei giudici. Si tratta dei parenti di Lidia, che a questo punto tornano a domandarsi chi abbia realmente ucciso la ragazza: insieme agli avvocati di parte civile parlano di “un processo troppo frettoloso”.