Dopo aver esaminato 150 mila documenti e ascoltato più di cento testimoni l’apposita Commissione istituita dal governo britannico ha reso pubblico un rapporto in dodici volumi sulla veridicità dei motivi che hanno condotto all’ intervento UK in Iraq, nel 2003, a fianco degli Stati Uniti, confermando quanto era intuibile da parte dell’uomo della strada e già sbandierato dai mass media al di qua e al di là dell’Oceano: la tesi che l'invasione fosse giustificata dal possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Bagdad era falsa.
La responsabilità di tale menzogna, che ha avuto come effetto la partecipazione del Regno Unito a una guerra che si trascina tuttora, la morte di 196 militari britannici, ma anche circa 4.000 degli Stati Uniti e numero imprecisato tra la popolazione irachena, oltre a circa 2 milioni di profughi è stata attribuita al premier dell’epoca, il laburista Tony Blair che ora potrebbe essere tradotto di fronte al tribunale di Sua Maestà per rendere conto delle sue azioni.
La notizia arriva a due settimane dal referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, proposto dal premier attuale, il conservatore David Cameron, sulla quale il popolo britannico si è dichiarato favorevole e qualcuno si domanda se i due eventi siano in qualche modo collegati. La risposta è positiva: l’intervento britannico nella Guerra del Golfo, a prescindere da ogni fondamento di diritto internazionale e la Brexit, rappresentano l’inizio e la fine di un disegno complessivo di assimilazione della Politica Estera ed economica del Regno Unito a quella degli Stati Uniti.
A dire il vero i prodromi si erano già visti ai tempi della prima Guerra del Golfo (1990-91), nella quale il contributo del Regno Unito (45.000 uomini + i tornado) a supporto di quello ben superiore degli Stati Uniti era stato comunque circa tre volte quello del resto delle Nazioni UE, Francia compresa (17.000 uomini) o nel rifiuto di Londra ad entrare nell’Euro; in quest’ultimo caso, tuttavia, il disimpegno britannico era rimasto mimetizzato, non essendo la Gran Bretagna il solo Stato a restare fuori dalla moneta unica europea europei e taluni non escludevano il suo ingresso in futuro.
L’intervento anglo-americano in Iraq, invece, venne effettuato senza autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in quanto si evitò di sottoporgli la richiesta in proposito, sapendo che sarebbe stata respinta. Le armi di distruzione di massa, di cui era stato attribuito il possesso da parte del defunto dittatore iracheno Saddam Hussein, infatti, non erano state mai individuate dagli ispettori dell’ONU.
Da allora, l’autorità delle Nazioni Unite ne uscì irrimediabilmente minata, con tutte le conseguenze che sono evidenti, dopo oltre dieci anni, per la risoluzione dei conflitti in atto nel pianeta.
Il rapporto ha inoltre evidenziato che i piani delle forze inglesi su cui si fondava l'attacco e la preparazione delle truppe erano completamente inadeguati.
Tony Blair, tuttavia, non era uno stupido e non è concepibile che non si sia reso conto di tutto ciò. La sua scelta di supportare gli Stati Uniti, allora presieduti da George Bush jr, allora, faceva parte di un disegno politico strategico ben preciso, quello che Silvio Berlusconi avrebbe definito come “una scelta di campo”.
Ora tale “scelta di campo”, supportata, d’altronde, dall’identità linguistica (la lingua inglese) e, sostanzialmente, dalle medesime radici culturali (quelle anglo-sassoni), è stata confermata dalla volontà referendaria del popolo britannico: Canale della Manica più largo e Oceano Atlantico più stretto, quasi inesistente, a costo di diventare il 51° degli Stati Uniti, magari senza la Scozia e l’Irlanda del Nord. A scapito, inoltre, di tutte le autorità sovranazionali, ONU e Unione Europea comprese.