E' stato fischiato, insultato, invitato ad andarsene. A non vestire più la maglia che ha difeso, onorato e con la quale ha contribuito a far gioire ed esultare un intero popolo per molti anni di seguito. Ora, improvvisamente, quel popolo non è più unito. Non gioisce più sotto la stessa bandiera. Il popolo catalano improvvisamente (?) sposta la cenere e fa riemergere i tizzoni ardenti del secessionismo, della ribellione, del desiderio di indipendenza. E uno dei suoi massimi rappresentanti (perché sì, purtroppo o per fortuna, se dobbiamo indicare qualche catalano famoso al giorno d'oggi, ci ricordiamo i calciatori) si presenta in lacrime davanti ai giornalisti perché ha una crisi esistenziale.
Le parole di Piqué
Gerard Piqué, 30 anni da Barcellona, è l'emblema della profonda spaccatura che si è mostrata al mondo in tutta la sua dirompente distruzione dopo i disordini collegati al referendum separatista della scorsa settimana. Se prima, qualche giorno fa, in un moto di orgoglio aveva detto che se fosse diventato un problema, si sarebbe fatto da parte e non avrebbe più giocato in Nazionale, poi ha aggiustato il rito, dicendo che non se ne sarebbe andato perché "la Nazionale è la mia famiglia". E definisce, mantenendo questa metafora, ma allargandola al contesto politico, il rapporto tra catalogna e Spagna come quello tra "padre e figlio dove il figlio a 18 anni chiede di andare via di casa", aggiungendo che "bisogna dialogare.
La cosa più importante sono il rispetto e il dialogo''.
Perché no
Qui non si tratta di diritti umani. Non si tratta neanche di autodeterminazione. Non stiamo parlando di popoli alla ricerca di una "casa". Non è il Kurdistan, o la Palestina. Si è trattato di un voto illegale. Non riconosciuto dalla Costituzione, dall'Unione Europea, né da qualsiasi altro Stato sovrano al mondo.
Non è diritto al voto. E' secessione, rivoluzione. E in quanto tale, non ci si può aspettare che il Governo non intervenga. D'accordo che non si è ricorso alle armi, ma pur sempre di un atto illegale si è trattato. Oltretutto, se pure vogliamo dare un crisma di validità a questo voto, la stessa popolazione catalana ha prima di tutto messo in dubbio l'effettiva utilità della consultazione (il 61% della popolazione ritiene che il referendum non abbia valore legale), e poi ha disertato le urne: su oltre 5 milioni di aventi diritto, solo poco più di 2 milioni hanno votato.
In quale Paese civile una percentuale così esigua può decidere per tutto il resto? In special modo su un argomento così "pesante"?
Appare quindi evidente come le parole di Piqué, oltre ad essere inopportune, sono anche inadeguate al contesto. Uno Stato, un Governo, non può guardare con bonaria benevolenza il tentativo (illegale) di secessione da parte di una Regione. Ma come al solito, e questo è venuto fuori praticamente subito, si tratta di una questione di soldi. E' stato messo in evidenza come la Catalogna contribuisca in maniera molto pesante al PIL Spagnolo, e che l'indipendenza avrebbe consentito alla regione di rifiorire, di rinascere senza il pesante fardello rappresentato da Madrid.
Eccolo allora il punto. Barcellona vuole più soldi, o meno tasse se vogliamo. E' tutto lì. Non si tratta di lingua, di radici differenti, di sentimenti diversi. Si tratta di soldi. Perché allora i Paesi Baschi e l'Ulster hanno deposto le armi? Perché la Corsica non si rivoltata contro Parigi? Semplicemente perché non hanno armi (economiche) da giocarsi nei confronti della Capitale. Ma l'Europa, all'interno di questo processo (lento, e che probabilmente fallirà) di "unificazione", una cosa che non può permettersi è certamente il disgregamento dei suoi Stati membri attraverso dei referendum incostituzionali. Sarebbe come aprire un Vaso di Pandora che darebbe adito a chiunque di proclamare la propria indipendenza.
Si potrebbe tornare velocemente ad una situazione tipo tardo '600: con regni, principati e così via.
Conclusioni
Se proprio crede in questo tentativo maldestro e posticcio, allora Piqué dovrebbe prendere il coraggio a due mani e ritirarsi dalla Nazionale: non può sostenere una rivendicazione separatista e poi difendere la bandiera che ha appena calpestato. Non è coerente. Non può sfruttare la sua immagine, la sua potenza mediatica per forzare la mano. Il Barcellona gioca il campionato spagnolo, sotto l'egida della Federazione Spagnola: si ritiri dal campionato se intende perseguire le idee indipendentiste. Il fatto è che il calcio e lo sport devono rimanere fuori dalle vicende politiche. Perché non è altro che questo: politica e niente più.
Se per i diritti umani, per l'equità, i diritti degli emarginati, gli esclusi, lo sport ha una potenza che forse nient'altro al mondo, per quanto riguarda la politica qualsiasi voce può risultare dannosa. E il risultato tangibile sono i fischi e gli insulti presi da Piqué da parte dei tifosi spagnoli. Con questo non si vuole dire che i calciatori o gli sportivi devono fare le belle statuine e ripetere quelle quattro parole in croce davanti ai giornalisti: ma se devono esprimere opinioni pesanti, allora devono anche avere il coraggio di mantenergli fede.