Due partiti sotto intervento, con sintomi diversi ma afflitti della stessa malattia: il Pd cerca un cuore nuovo, a FI il suo gli sta stretto. Entrambi nati con vocazione maggioritaria, hanno raggiunto la vetta per poi crollare come un castello di carte. Giovani dinosauri politici, che non si sono saputi evolvere. Il risultato è che un partito è senza un leader e uno non vive senza il suo.
Il PD doveva rappresentare la Sinistra Italiana
Ne ha inglobato l'elettorato, e forti anche dei voti che un tempo erano del P.C.I. Fecero il loro ingresso in parlamento nel 2008, parte di quell'elettorato si sente tradito, per la corsa verso il centro sin dagli esordi che ha ridotto l'ala sinistra a minoranza del partito.
Fatto questo fu subito denunciato e preso a picconate in Parlamento dal Presidente emerito Cossiga che in aula sottolineava la lontananza rispetto agli ideali e le personalità della Sinistra Italiana quali quelle del “glorioso Partito Comunista”. Il suo intervento in un video Youtube al dal minuto 8:19:
“Erano i tempi di Berlinguer e non di Valter Veltroni” tuonava Cossiga.
Candidato PD: deriva a destra del partito
Accuse del giovane candidato alla segreteria PD Dario Corallo, mosse al proprio partito durante il Congresso del PD. Corallo infatti afferma che “non ci rendiamo conto che abbiamo elevato a scienza assoluta quelle che sono scelte politiche di solito di Destra”.
Al Partito Democratico manca quindi un identità condivisa, l'ideologia del partito è cambiata nel tempo a seconda di chi ne era alla guida, in modo radicale.
Non c'è un più programma ideologico e battaglie concrete. Il PD ancora dovrebbe decidere chi e cosa vuole sostenere, dovrebbe decidere a questo punto se stare a destra o a sinistra (percepita ormai quasi un offesa), decidere cosa vuole fare da grande, e solo dopo scegliere un leader.
Intanto a destra Si, Silvio c'è
Forza Italia, invece, non ha saputo trovare un leader al suo interno capace di prendere il posto di Silvio Berlusconi, il quale ogni volta deve "scendere in campo" per salvare il suo partito.
Che continua a stagnare nei sondaggi.
Una leadership la sua, che non ha mai dato modo a nessuno di potergli tenere testa. Anche le contraddizioni del suo leader non sono mai state contestate dal partito. Forza Italia quindi incapace di riformare se stessa per l'egoismo dei suoi colonnelli, uomini e donne maestri nell'arte della "captatio benevolentiae", i quali pur sapendo di mentire, votarono in Parlamento che Ruby era la nipote di Mubarak, incapaci di contestare il proprio leader anche davanti alle evidenze.
Purtroppo i forzisti non hanno avuto nemmeno il tempo di festeggiare la riabilitazione alla vita politica dell'ex premier.
Sorvolando il problema della successione, ci prova il presidente del Parlamento Europeo Tajani, a dare delle soluzioni al suo partito, come in un articolo dell'Huffingtonpost.it dove spiega le strategie come quella di cambiare il simbolo al partito, includendo sigle come “l'Udc, con organizzazioni legate al Ppe. Per fare le liste Altra Italia alle europee. E rappresentare una fetta elettorale che sta tra Lega e Pd”
Forza Italia quindi rinnova l'etichetta ma la ricetta non cambia. La classe dirigente non cambia, La leadership non cambia. E forse non cambierà neppure “Meno male che Silvio c'è”.
Paradossalmente due fenomeni opposti: il cambiare il proprio leader come un paio di mutande e il non trovarne uno nuovo compatibile, hanno portato in fin di vita i due partiti che dovevano guidare l'Italia. La perenne fase costituente, e ricostituente del Partito Democratico, e l'immobilismo forzista, questa è la Politica che fa ammalare la Politica.
Forse l'intervento riuscirà, ma il paziente a quel punto potrebbe già essere morto.