E così pare che anche questa volta Renzi l'avrà vinta. Ieri, durante la direzione del Pd, Renzi nella sua veste di segretario ha fatto una piccolissima apertura sulla composizione dei futuro Senato, continuando però a tenere il punto. Niente modifiche che rallenterebbero il cammino della riforma, tant'è che rimane fondamentale per Renzi l'obiettivo di vederla approvata entro il 15 ottobre. Di contro, la linea della minoranza Pd non è ben chiara.

L'apertura di Renzi

Si parla di lodo Tatarella, riferendosi ad una legge elettorale regionale in vigore dal 1995.

Questa soluzione vedrebbe gli elettori chiamati a designare i senatori nel contesto delle elezioni regionali. Il lodo Tatarella potrebbe essere attuato senza toccare il famoso articolo 2 della riforma costituzionale, che, Renzi ribadisce, non deve essere toccato, in quanto è già stato approvato sia dalla Camera che dal Senato. A tal proposito, il premier non si risparmia l'ennesima tiratina all'ormai leggendaria giacca del presidente del Senato: se Grasso dovesse rendere possibile emendare l'articolo, secondo Renzi bisognerebbe “convocare Camera e Senato perché saremmo davanti ad un fatto inedito” (Ansa.it). E la minoranza del Pd? Per il momento non pervenuta: Bersani, che non ha partecipato alla direzione del partito, ha parlato di “apertura significativa”, ma tutti gli altri, bersaniani e non, non sono riusciti ad esprimere una linea chiara.

Rimane dunque una cortina di fumo intorno a quello che succederà quando sarà il momento di votare la riforma in aula.

Renzi come Tsipras

Matteo Renzi ha colto l'occasione del suo intervento alla direzione del Pd per lanciare un monito neanche troppo celato ai dissidenti del suo partito. Il segretario ha usato come metafora ciò che è accaduto in Grecia, dove Tsipras, premier uscente, ha vinto di nuovo le elezioni dopo essersi liberato della componente più radicale del suo partito, il cui esponente più di spicco è l'ex ministro Varoufakis.

Per Renzi la vicenda greca deve servire da esempio di come le scissioni non tornino a favore di coloro che le propugnano, riassumendo il concetto il un incisivo quanto minaccioso “chi di scissioni ferisce di scissioni perisce” (Ansa.it). Volendo dare un'interpretazione maligna di questo passaggio del premier, si potrebbe dedurre che l'intenzione di Renzi sia quella di andare ad elezioni non appena sia la riforma del Senato sia l'Italicum saranno in vigore, mira che spiegherebbe anche la fretta di approvare la riforma costituzionale entro il 15 ottobre.

Ma questo potremo scoprirlo solo seguendo lo sviluppo degli eventi. Ciò che si può dire con sicurezza è che la minoranza del Pd non appare per niente unita: anche nell'essere dissidenti ci sono delle differenze. E quali siano queste differenze non è ben chiaro, come non è ben chiaro, per il momento, se il Pd avrà i numeri in Senato per approvare la riforma, o se questa vicenda politica costerà al principale partito di maggioranza la sua unità, arrivando allo strappo definitivo che è nell'aria praticamente da quando Renzi è presidente del Consiglio.