Sarà la crescita zero in Italia, confermata dall’Eurostat anche per il secondo trimestre del 2016, o la maglia nera vinta dal Belpaese per l’evasione dell’Iva (oltre 36 miliardi di euro, primato assicurato nell’Ue), oppure l’effetto di certe sparate tipo “via le slot machine dai bar e dalle tabaccherie”, con polemiche annesse. L’Italia non si smentisce, e il suo governo neanche, continuando a professare la visione di un cambiamento che non incanta più, ormai, neanche a parole. Figuriamoci i fatti, i tempi, le emergenze e la loro gestione; sempre in ritardo, sempre a posteriori.

E quando qualcosa va storto o i sondaggi buttano male basta cambiare leggermente le carte in tavola e fare gli splendidi in tv per restare in sella. Tanto in Italia il primo partito è quello dell’astensionismo, un vantaggio assicurato. Lo sarà anche per il referendum sulla riforma della Costituzione, la cui data slitta nella finestra compresa tra il 15 novembre e il 5 dicembre, e intanto i promotori sono pronti a ritrattare.

Si poteva fare di meglio, parola di Premier

Matteo Renzi, alla fine, lo ha ammesso: questa riforma costituzionale “poteva essere scritta un po’ meglio”. Aggiunge inoltre la sua disponibilità a intervenire sull’Italicum qualora ci fossero i consensi sufficienti in Parlamento.

Questo, afferma il premier, indipendentemente da come si pronuncerà la Corte costituzionale italiana circa la facoltà di non promuovere una parte della legge elettorale. E su quali aspetti dovrà decidersi? Sono due, essenzialmente: le preferenze e i capi delle liste nelle varie circoscrizioni elettorali. Non sembrino roba di poco conto, poiché si tratta di elementi in grado di cambiare significativamente il volto della riforma.

Renzi ha detto che entro il 25 settembre sarà decisa la data del referendum, ma sarà conveniente farlo prima del 4 ottobre? Rimandare, del resto, è sport nazionale. Peraltro, c’è chi desidera addirittura la cancellazione della consultazione referendaria, per quanto ormai impossibile: è il pensiero forte dell’economista e premio Nobel Joseph Stiglitz, secondo il quale il referendum rappresenta un pericolo importante, e lo dice in ottica europea, avallando la linea che vuole l’Italia sotto la lente d’ingrandimento per l’esito di questa partita, paragonata addirittura alla Brexit.

Ancora D’Alema, parte un altro treno nella campagna

La bufera che affligge la capitale ha costretto i vertici del Movimento 5 Stellea sospendere i propri impegni e recarsi a Roma in sostegno della Raggi; così, ad esempio, Alessandro Di Battista ha dovuto momentaneamente interrompete il suo tour per il No al referendum, denominato “#Costituzione Coast to Coast”. Contemporaneamente, c’è chi invece gli dà una sponda dall’interno del Partito democratico, lanciando un altro comitato per il No: il riferimento è alla mossa di Massimo D’Alema, che con Renzi non è mai andato d’accordo e ora sfrutta l’occasione per rilanciare la sua linea contro la leadership renziana. I bersaniani, invece, sono più attendisti, ma il partito di governo dimostra ancora una volta una disomogeneità che mette i bastoni fra le ruote a chi sognava la grande rottamazione.